LE “ARMI SEGRETE” DI RADETZKY
Il progresso, purtroppo, funziona sia nel bene che nel male, e produce scoperte che recano beneficio all’umanità (pensiamo ai farmaci che salvano tante vite), ma anche quelle che arrecano invece lutti, distruzioni e morte, come le armi.
E la fiorente (e maledetta) industria che le produce, è sempre alla ricerca di nuove e micidiali da opporre al nemico che, a sua volta, si affanna a trovarne altre migliori (ossia che ammazzino di più e meglio).
E vi è anche, in proposito, la tecnica di far sapere al nemico, per impensierirlo e mettergli paura, di essere in possesso di armi segrete nuove ed afficacissime che ne determineranno la sconfitta: basti pensare alle “armi segrete” di Hitler (i razzi V1 e V2), più volte preannunciate, che al loro apparire provocarono un innegabile subbuglio nei suoi avversari, oppure al famoso “Raggio della morte” di cui favoleggiavano i fascisti durante l’ultima guerra mondiale, e che avrebbe dovuto colpire gli aerei nemici in volo bloccandone i motori.
Anche nel 1849, in occasione dell’assedio di Venezia ove era sorta la Repubblica di S.Marco difesa da Daniele Manin, gli austriaci inaugurarono un nuovo strumento di guerra (ben descritto in un interessante studio di Alberto Rosselli su “Google” dal titolo “Il primo tentativo di bombardamento aereo della storia – Venezia 2 luglio 1849)”, che purtroppo accelerò la sconfitta dei pur eroici assediati, colti di sorpresa ed in molti casi dal panico.
Uno strumento, come si vedrà, tutto da sperimentare e dagli esiti diretti molto modesti, ma che indubbiamente influì negativamente sul morale dei combattenti e della popolazione civile veneziani.
Il giovane colonnello d’artiglieria Benno Uchatius dello stato maggiore austro-ungarico, resosi conto che il sia pur martellante bombardamento d’artiglieria non riusciva a costringere alla resa i valorosi difensori – fra i quali si distinse il padovano Alberto Cavalletto - ebbe dunque l’idea di costruire dei palloni aerostatici in grado di trasportare esplosivo da far cadere dall’alto sulle loro teste. Molte le soluzioni adottate: inizialmente, la più semplice, consistente in un pallone sul quale veniva caricata una bomba che, raggiunto il cielo sopra Venezia, grazie ad un particolare congegno – forse una reazione chimica a tempo - si sganciava dal supporto che la tratteneva e precipitava nella sottostante città. Furono sperimentati anche una mongolfiera con pilota a bordo per poter manovrare in qualche modo sull’obbiettivo, ed anche gruppi di palloni uniti gli uni agli altri con corde ritenendo che in tal modo fosse più facile dirigerli: ma la mancanza di qualsiasi mezzo di propulsione propria e l’essere affidati esclusivamente ai venti ed alle correnti che ci si sforzava di studiare con i pochi mezzi disponibili all’epoca, decretò il fallimento della sperimentazione. Tuttavia, le cronache riportano che se alcune bombe caddero in acqua, fra lo scherno dei veneziani, altre colpirono però il Lido e Mestre senza gravi danni ma provocando paura e preoccupazione.
Per il timore che gli attacchi dall’aria potessero ripetersi, gli assediati pensarono allora (e qui la cosa assumerebbe toni decisamente umoristici se non si trattasse di guerra) di organizzare una “difesa anti-aerea” mediante il lancio di razzi muniti di ganci destinati a tranciare i cavi che collegavano i palloni gli uni agli altri, o con “palloni intercettori” in grado di posizionarsi sopra la formazione nemica e calare lunghe funi con in cima degli ancorotti, sempre allo scopo di tranciare le funi di collegamento , e quindi scompaginare quelle singolari formazioni aeree che noi oggi chiameremmo “squadriglie” (sia pure di palloni).
Ma non sarebbe stato più semplice mirare contro i voluminosi involucri degli aerostati, anziché accanirsi contro le sottili corde che li tenevano insieme?
Giovanni Zannini
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