Giosuè Carducci rievoca la spedizione di Garibaldi in
Francia con un suo articolo del 21 gennaio 1872 pubblicato su “Prose di Giosuè
Carducci” edito dalla Nicolo Zanichelli di Bologna nel 1905.
Con il suo stile classicheggiante ed epico ricco di
riferimenti storici e leggendari,
l'autore risponde anzitutto a coloro che si erano stupiti
dell'accorrere dell'Eroe in soccorso
delle giovane repubblica francese in pericolo, dopo la sconfitta di Sedan, di
fronte all'avanzata dell'esercito prussiano.
Ma come, si chiedevano costoro, Garibaldi che “sotto le mura
di Roma tante volte disfrenò l'invitto
animo e la spada e il cavallo nel fitto delle legioni francesi..., va a
combattere in carrozza per la Francia...” anzichè compiacersi “che cotesta
superba e vana gente sia ridotta all'impotenza di nuocere , d'impedire,
d'immischiarsi, d'imporre?”.
Perchè va a combattere i prussiani che con la loro vittoria,
vendicavano, sia pure involontariamente,
i numerosi torti a lui arrecati dai francesi, da Mentana a Roma?
Così, risponde Carducci, avrebbe pensato “chi ha la passione
dei piccoli avvenimenti, il rancore dei fatti singoli e staccati”, ma non chi,
come Lui, “uomo di stato”, ha “il dolce e freddo occhio aquilino...di chi vede
per entro i destini delle nazioni”.
Ecco dunque perchè Garibaldi accorse in Francia nel 1870.
Perchè vedeva il
pericolo che l'ideale repubblicano a lui
caro allora incarnato dalla Francia donde “la libertà e la filosofia avean
preso le mosse”, potesse soccombere di
fronte all'imperatore Guglielmo; e che “l' elemento germanico dopo Sadowa e Sèdan tende
naturalmente a dilagare ; intende forse a soprafffare”. Perchè, scrive Carducci, interpretando il pensiero di
Garibaldi, “con principi e con imperatori non facciamo fidanza”.
Non solo: ma anche perchè egli vedeva in pericolo “l'ideale della confederazione,
morale e ideale per ora, delle genti latine,
sorelle nella lingua, nelle tradizioni, nelle istituzioni, nell'arte”,
quell' ideale che fa di Garibaldi il precursore dell' Unione Europea
realizzatasi quasi un secolo dopo (e che taluno, criminalmente, vorrebbe oggi
mettere in discussione).
Fin qui, dunque, i motivi che hanno indotto Garibaldi
all'intervento.
Ma lo scritto carducciano è ricco
anche di altri accenni interessanti.
Allorchè, ad esempio, ci si chiede perchè “egli va a combattere in
carrozza per la Francia”.
E' chiaro il riferimento al
pessimo stato di salute dell' Eroe ormai sessantatreenne, colpito da una grave
forma di artrite, il quale, per ispezionare
il fronte a lui affidato, si
faceva trasportare in carrozza finchè le strade lo consentivano, per poi essere
trasferito su di una “letiga” condotta da due portantini allorchè il terreno
si faceva accidentato.
Come pure quando Carducci non
manca di manifestare il suo acceso anticlericalismo affermando di ammirare il
popolo tedesco auspicando che un domani (purtroppo, sembra dire, non oggi) il
suo “dio Thor risorga con il suo
gigantesco martello di ferro e picchi di santa ragione sulle chiese e le torri,
carceri della vecchia Europa: oh che colpi meneranno i nipoti di Sigfrido! Si,
tu diverrai un giorno come Sigfrido e ucciderai l'abominevole drago”, ossia, è
chiaro, il Papa.
Ancora, allorchè afferma che i
giovani italiani accorsi in Francia chiedevano ai francesi “lasciateci morire e
vincere per voi”, chiaro accenno alla tiepidezza (ed in qualche caso, aperta
ostilità) manifestata dai Francesi ai volontari accorsi in loro difesa allorchè
facevano capire, con una certa boria,
che nessuno li aveva chiamati e che erano in grado di farcela da soli, .
Lo scritto carducciano si
conclude con un forte, commosso saluto a Giorgio Imbriani “amico e fratello
nostro, ricordanza acerbissima e onorata sempre” dei giorni più belli trascorsi a Bologna,
caduto in Francia nelle gloriose
giornate del 21, 22 e 23 gennaio 1871 davanti a Digione.
Saluto che Carducci nuovamente invia il 19 novembre 1876, in occasione della commemorazione di Goffredo
Mameli, a Imbriani ed a Ferraris ( Adamo Ferraris, fratello del grande
scienziato Galileo – v. il mio “Adamo Ferraris il medico di Garibaldi”) “cavalieri antichi nella spedizione dei Vosgi”,
la montagna di Francia che diede il nome all’esercito di Garibaldi.
Giovanni
Zannini
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