Ma senza macchia no, perchè di eroi senza paura ed
anche senza macchia, è difficile
trovarne, e Nullo una macchia ce l'ha, e
si chiama Pettoranello del Molise.
Nato a Bergamo nel 1825, è uno dei fedelissimi di Garibaldi con il quale partecipa
alla campagna del 1848, difende la
Repubblica Romana nel 1849 seguendo poi il Generale nella ritirata, è
Cacciatore delle Alpi nel 1859 combattendo
a Varese ed a S.Fermo. Partecipa poi alla
spedizione dei Mille nel 1860 espugnando fra i primi Palermo e poi Reggio, l’1
ed il 2 ottobre prende parte alla
battaglia del Volturno (non uno scontro avventuroso e d'impeto consueto al Garibaldi guerrigliero,
ma una vera e propria battaglia campale nel quale egli si manifesta anche abile
stratega) ove è promosso sul campo Colonnello, il 29 agosto 1862 è al suo fianco
nel fatale Aspromonte.
Solo pochi mesi dopo parte per la Polonia,vindice della libertà dei
popoli, così come avevano fatto Garibaldi
in sud-America - per l'indipendenza della Repubblica del Rio Grande do Sul contro l'impero
brasiliano e per l’Uruguai contro l’Argentina -
e poi altri garibaldini in Grecia, a Creta ed in Spagna, dando luogo a quel fenomeno che ben può
definirsi “volontariato d’esportazione”.
Il 23 gennaio 1863, infatti, i patrioti polacchi erano insorti contro i
dominatori russi e Nullo non fu sordo al
loro richiamo accorrendo con una “Legione Italiana” di 600 uomini della quale
faceva parte (curiosità) un manipolo di una ventina di volontari garibaldini organizzati
e armati da quel tal Luigi Caroli, detto
“Il Gigio”, amante della marchesina Raimondi sposata da Garibaldi nel 1860 e
subito ripudiata. Caduto prigioniero
morrà di stenti lavorando nelle tremende miniere siberiane.
L'impresa dei 600 ha un
esito drammatico: nella battaglia di Krzykawka
del 5 maggio 1863 sono battuti,
Francesco Nullo muore, combattendo eroicamente, a Olkusz ove sulla sua tomba è stata eretta una
grande stele in pietra.
Per questo suo sacrificio è onorato in Polonia come eroe nazionale e molte strade
ed edifici pubblici portano il suo nome.
Per completare il quadro aggiungeremo che Garibaldi lo definì “il più
bello dei garibaldini” e gran scavezzacollo, mentre, più tardi, vedremo che
sapeva pure suonare il pianoforte (anche se nei momenti sbagliati).
Vediamo ora quale situazione Nullo trova dopo il passaggio
dello stretto di Messina.
Dopo lo sbarco a
Marsala Garibaldi, nella sua marcia attraverso la Sicilia aveva suscitato l’ entusiasmo di gran parte
della popolazione isolana e molta gente
volonterosa ma digiuna di preparazione militare, era accorsa, come quel
migliaio di “picciotti” di Salemi, armati ed a cavallo, che vengono immediatamente
inquadrati in qualche modo sotto il nome
pomposo di “Cacciatori dell’Etna”.
Tra “camorristi” e “cafoni”.
Ma, passato lo stretto e intrapresa la risalita dello
stivale, la situazione era mutata perché se pochi “camorristi” si erano posti al seguito di
Garibaldi, i contadini, i “cafoni” (che
i piemontesi chiamarono poi “briganti”), fedeli al re Francesco II di Borbone,
erano molti di più, specie negli Abruzzi e nel Molise, ed ingrossavano le fila dell’esercito borbonico
ancora forte di ben 50.000 uomini (contro i quasi 30.000 di Garibaldi), e ben organizzato. Il re si era
rifugiato a Gaeta schierando il suo
esercito a difesa al di là dei fiumi Volturno e Garigliano (una specie di “linea
gotica”, più di un secolo fa……) per stoppare
la marcia di Garibaldi verso nord.
In questa situazione, il 19 settembre 1860, Garibaldi che aveva posto il suo
Quartier Generale a Caserta aveva dovuto recarsi a Palermo per risolvere alcuni
problemi ivi insorti lasciando l’ordine
di restare fermi sulle posizioni raggiunte senza assumere alcuna iniziativa.
E ciò in attesa delle
truppe piemontesi agli ordini del
Generale Cialdini che, superato il
confine dello Stato Vaticano e sconfitti i papalini a Castelfidardo, marciavano verso sud con un duplice intento.
Anzitutto attaccare i borbonici che si sarebbero così trovati di fronte i garibaldini,
ed alle spalle le truppe regie. Quindi, quindi, bloccare Garibaldi che non faceva
mistero della sua intenzione – la sua ossessione - di proseguire la marcia per conquistare
Roma ed abbattere il potere pontificio, ma con ciò creando quelle complicazioni
diplomatiche con la Francia che Vittorio Emanuele voleva ad ogni costo evitare .
Purtroppo, i suoi ordini non vengono, da taluni, rispettati: fra questi, il gen.Giuseppe
Sirtori che, mossosi alla volta di
Cajazzo (posto a poche miglia da Capua ove era accampato il grosso
dell’esercito borbonico), a costo di gravissime perdite si impadronisce del
piccolo centro dal quale viene successivamente sloggiato e costretto ad una
ritirata disastrosa. “L’operazione di Cajazzo – è il duro commento di Garibaldi
nelle sue memorie – fu più che
un’imprudenza: fu mancanza di tatto militare da parte di chi comandava”.
E poi, Francesco Nullo.
La sconfitta di Pettoranello.
Questi, da Boiano, ove, per ordine del Generale, si era
acquartierato, avuta notizia che i borbonici si erano di nuovo impadroniti di
Isernia (che era riuscita in un primo tempo a scacciarli), dimentico dei
precisi ordini ricevuti, si mette in moto per andarla a liberare.
Giunto dopo una faticosa marcia nelle vicinanze di
Pettoranello del Molise fa riposare i suoi uomini e, dopo aver dato le
opportune disposizioni per la difesa della posizione raggiunta, sale con il suo
seguito al paese ove è ospite a pranzo della famiglia Santoro, notabile del
posto.
Solo un drappello
agli ordini di Alberto Mario prosegue verso Isernia e ingaggia il combattimento
con le avanguardie dei borboni usciti
in forze da quella città per affrontare
i garibaldini avanzanti.
Intanto, gli ufficiali rimasti con gli uomini a riposo ai
piedi di Pettoranello, avvistati movimenti sospetti alle loro spalle e sui
fianchi si affrettano a salire al paese per avvertire di ciò il comandante
Nullo.
Lo trovano che, dopo aver pranzato, suona il pianoforte e
agli ufficiali allarmati che lo avvertono del pericolo incombente, risponde burbanzoso:”Sono
io che comando. Tornate ai vostri posti”.
Poi, ripreso il
comando, per dar l’esempio, con il suo Stato Maggiore e con pochi altri si
avvia a dar man forte agli uomini di Alberto Mario che già avevano ingaggiato
un duro combattimento con i borbonici: e li mette in fuga.
Ma, contemporaneamente,
un gran numero di “cafoni” (fedeli al
re Francesco, definiti poi “briganti”
dai piemontesi), ben armati, dalle
alture di Pettoranello (che era di nuovo caduto nelle mani del nemico), e di
Carpinone, posti uno di fronte all’altro, e da Castelpetroso, attacca i garibaldini che
si trovano chiusi in una morsa: di fronte
i borbonici tornati in forze, alle spalle i “cafoni” che adottano una
micidiale tecnica di guerriglia. La lotta è cruenta, il massacro di garibaldini
è impressionante.
Nullo, dopo averli
incitati alla resistenza assicurando loro rinforzi che non giungeranno mai
riesce a raggiungere Bojano ove si trascinano poi, decimati e stremati, i suoi
uomini superstiti della dura
battaglia.
Negli eserciti, in casi del genere sono previsti provvedimenti disciplinari a
carico dei responsabili di violazione
degli ordini ricevuti, specie se detta violazione ha avuto conseguenze così
disastrose.
Non si sa se ciò sia avvenuto, ma pare si debba escluderlo.
Garibaldi scrive, nelle sue memorie, che “la sconfitta di Cajazzo è stata l’unica dell’”Esercito Meridionale” –
così egli definisce il suo esercito con il quale sconfisse il Regno delle Due
Sicilie – in tutta quella gloriosa campagna”: ma, generosamente, pare assolvere
il responsabile Giuseppe Sirtori, capo del suo Stato Maggiore, osservando che “chi ne aveva l’incarico ritenne opportuno
fare qualcosa di più del necessario e, col ricordo delle vittorie precedenti, ritenne che qualunque impresa sarebbe stata
possibile ai nostri prodi”.
Sta di fatto che la sconfitta di Cajazzo non arrecò alla
carriera del gen.Giuseppe Sirtori pregiudizio
alcuno: fu nominato, infatti, Prodittatore a Napoli.
Per Francesco Nullo l’eroica
morte a soli 38 anni nelle gelide
steppe della Polonia, servì a cancellare
la memoria dell’infausta avventura di
Pettoranello di Molise. Giovanni
Zannini
buonasera Dr. Zannini posso approfittare di questo suo articolo su un valoroso Garibaldino. di menzionare anche di un probabile mio discendente valoroso al fianco di Garibaldi ovvero Maggior Leggero Eroe Isolano La Maddalena;
RispondiEliminaFiglio di Silverio e Rosa Fienga, nacque a La Maddalena il 17. 9. 1813, (data che, seguendo i dati dell'atto di morte, andrebbe spostata al 1816).
Imbarcato, come molti suoi concittadini sulle navi della Marina Sarda, fu affiliato della Giovane Italia e compagno fra i più fedeli di Garibaldi.
A Montevideo, egli disertò e entrò a far parte della Legione Italiana, distinguendosi per la sua abilità di artigliere e per il suo coraggio in tutte le azioni di guerra nell'America Latina; fu ferito nella battaglia di San Antonio del Salto.
Tornato in Italia con 63 commilitoni per partecipare alle vicende dell'Unità italiana, combatté a Morazzone e, più tardi, alla difesa della Repubblica Romana nel 1848.
Riportiamo le pagine tratte da "Il maggior Leggero e il trafugamento di Garibaldi", di Umberto Beseghi, che fedelmente tratteggia la figura del nostro Eroe: "Si segnalò per la sua intrepida azione a Porta S. Pancrazio, a Palestrina, a villa Corsini, al vascello e a villa Spada. Mentre era ricoverato in ospedale per le ferite riportate, la legione garibaldina fu costretta dalle armate francesi a lasciare Roma. Il maggior Leggero dopo 14 giorni di tensione e di sofferenze volle dimettersi dall'ospedale per abbandonare a sua volta Roma il 28 luglio 1849 e servendosi di buoni cavalli raggiunse Garibaldi a Cesenatico, dove il 2-8-1849, accompagnato da pochi seguaci, prendeva la via verso Venezia.
Leggero si imbarcò sullo stesso bragozzo occupato da Garibaldi, Anita sofferente, il prete Ugo Bassi ed altri pochi legionari.
I 13 pescherecci furono costretti dal cannoneggiamento della flotta austriaca a prendere terra a Magnavacca, sul litorale romagnolo; Anita pochi giorni dopo mori nella fattoria Guiccioli. Garibaldi e Leggero furono protetti dall'ardente patriottismo romagnolo che fulmineamente scattò e dopo oltre 15 giorni di peripezie i due profughi riuscirono, attraverso la Romagna prima e poi attraverso la Toscana, a sbarcare a Porto Venere nel golfo di La Spezia.
Durante il fatidico ed estenuante periodo del Trafugamento di Garibaldi attraverso la Romagna e la Toscana, detto più semplicemente "Trafila", Leggero fu di pratica utilità al Generale, come lo attestano numerosi episodi e soprattutto fu di inestimabile conforto morale di Garibaldi, specialmente nel triste evento della morte di Anita.
Esiliati entrambi dal governo piemontese (grazie a Francesco Millelire, comandante della nave Tripoli che doveva condurli in Tunisia, a causa delle difficoltà diplomatiche sorte per l'esilio di Garibaldi, i due rimasero un mese a La Maddalena, settembre - ottobre 1849), Garibaldi e Leggero finirono a Tangeri. Da Tangeri Garibaldi si trasferisce a New York e dopo qualche tempo anche Leggero parte.
Lo ritroviamo nell'America Centrale, in Costarica, mentre combatte a difesa della piccola nazione contro un esercito mercenario comandato dallo schiavista americano William Walker che intende impadronirsi del piccolo stato.
Nel 1857 è in Salvador ed organizza l'esercito Salvadoregno. Nel 1860, avuto notizia dell'impresa dei mille abbandona tutto e a tappe forzate rientra in Italia. Arriva a cose fatte.
Si presenta a Garibaldi direttamente a Caprera. Verrà inquadrato nei reparti invalidi prima dei garibaldini poi con il grado di capitano della Real Casa d'Asti nel reparto dell'esercito regolare. Passerà il suo tempo prevalentemente a Caprera e Maddalena, dove morirà il 14 - O1 - 1871 nella sua casa di Cala Gavetta.
Nel 1861 a Sorrento si era unito a Giuseppina Maresca dalla quale avrà almeno un figlio.
Fu decisamente un uomo dotato di coraggio eccezionale e di ottime capacità militari che ebbe una vita travagliata a causa della sua devozione al Generale Garibaldi.
dimenticavo Maggior Leggero ovvero Giovan Battista Culiolo la discendenza da parte mia madre i suoi avi la bisnonna era una Culiolo -
RispondiEliminagiusto per precisare, saluti Claudio Leli
Concordo perfettamente con Lei, in Pettorano il Colonnello Nullo fu "Nullo di nome e di fatto" e si potrebbe dire di peggio. In quella battaglia, che non doveva essere ingaggiata, lo scriteriato comportamento del comandante Nullo, portò ad un massacro. La fuga di Nullo fu indecorosa, tanto più che non tornò a salvare il salvabile o a seppellire i morti. Tra quegli sventurati c'era anche il mio trisavolo che catturato a Macchiagodena dalle Guardie Urbane con altri cinque fu poi massacrato dai paesani di Carpinone.
RispondiEliminaSto studiando questo periodo storico per portare alla luce i personaggi minori di quegli avvenimenti che in sostanza ci rimisero la vita contrariamente ai loro capi che i salvarono tutti.
Distinti saluti.
Gennaro Trivisonno