Mussolini aveva chiesto a Hitler, nel 1940, l’onore di partecipare al bombardamento aereo del territorio inglese,
alla “Battaglia d’Inghilterra”, contro la “perfida Albione”, e Hitler, magnanimo,
gliel’aveva concesso.
Fu così che nell’agosto 1940 fu costituito
dall’Italia (con reparti aerei fino ad allora impiegati nella guerra contro la
Francia che si era arresa nel luglio) un
Corpo di spedizione aereo denominato C.A.I. – Corpo Aereo Italiano - avente lo scopo di cooperare con la Luftwaffe
agli attacchi sull’Inghilterra.
Eccone l’organico tratto dal volume di Rosario
Abate “Storia della Aeronautica Italiana” (Casa Editrice Bietti – Milano 1974):
1) 2 stormi da bombardamento con 75 bimotori Fiat B.R.20;
2) 1 stormo da caccia su 2 gruppi con 50 biplani Fiat
C.R.42 e 48 monoplani Fiat G.50;
3) 1 squadriglia da ricognizione strategica con 5
trimotori Cant Z-1007 bis.
Il 22
ottobre tutti questi aerei - sui quali, per migliorarne il riconoscimento,
era stata dipinta una larga fascia gialla in fusoliera - si trovavano schierati
sui seguenti 5 aeroporti situati in
territorio Belga: Espinette, Chièvres, Melsbroek, Maldegen e Ursell.
D’intesa con i tedeschi fu assegnata agli aerei
italiani una zona di operazioni così
delimitata:
-
A nord
dal 53° parallelo N
-
A ovest dal 1° meridiano W Gr
-
A sud dal fiume Tamigi.
Ma il 23 dicembre 1940, solo due mesi dopo, venne diramato l’ordine di rientro e l’operazione si concluse nel gennaio 1941. Solo il gruppo da caccia dei Fiat G.50 si
trattenne in Belgio con compiti di difesa dalle incursioni aeree britanniche sui
territori belgi e olandesi fino alla
metà di aprile 1941.
A parte l’abnegazione degli aviatori italiani ed il
loro valore spesso eroico, l’apporto del C.A.I. alla “Battaglia d’Inghilterra”
fu piuttosto modesto sul piano militare, e Rosario Abate, nel volume più sopra
citato, scrive di “inconsistenza dei risultati ottenuti” e non esita a definire
quella del C.A.I. una “operazione
dimostrativa di nessuna utilità pratica”.
Luigi Gorrini, sergente del C.A.I., medaglia d’oro,
24 aerei abbattuti, descrive in un suo resoconto apparso su “L’ultima Crociata”
del luglio 2011 le condizioni in cui si trovò ad operare presso l’aeroporto di
Ursell, in Belgio. A parte le ottime camuffature e mimetizzazioni che impedirono agli inglesi di individuare e
bombardare quell’aeroporto, “la spedizione in Inghilterra fu tutta da
dimenticare: bombardamenti male eseguiti, macchine inidonee…I Fiat G.50 (aerei
da caccia – n.d.a.) non parteciparono ad alcuna azione: essi non avevano
autonomia, passata la Manica dovevano tornare subito indietro… Eravamo in
braghe di tela e non avevamo
riscaldamento sugli aerei che peraltro erano aperti. Noi volavamo con 30 gradi
sotto zero…Alle 11 di mattina i poveri
specialisti si attaccavano alle eliche
degli aerei che non riuscivano a far girare: l’olio era diventato duro… Facevamo
la scorta ai nostri bombardieri…uno andò giù perché i motori non ce la
facevano. Erano BR20, macchine anch’esse di tela, idonee a volare leggere ed a partire su terreni secchi ed aridi. Qui invece si era carichi di
bombe, le piste erano fangose, ed i piloti mancavano d’addestramento…Non
avevamo neppure le carte…In Italia andavamo avanti seguendo le carte stradali del Touring Club…”. E poi, ancora:
“…Ossigeno che si bloccava, senza radio, aeroplani di tela. Francamente,
avevamo solo gli occhi per piangere, abbiamo fatto la guerra in queste
condizioni”, tali da suscitare la pietà dei tedeschi. Essi, infatti, fecero
loro l’elemosina delle stufe catalitiche per scaldare i motori, e poi le
combinazioni di volo, i guanti e i caschi nuovi, perchè i nostri avevano
ancora il caschetto di tela; oltre a
ciò, provvidero a “corazzare”, in
qualche modo, i nostri fragili velivoli privi di strumentazione per il volo
senza visibilità e di dispositivi di protezione contro le formazioni di
ghiaccio.
La spedizione del C.A.I, fu dunque ampiamente
condizionata da situazioni ambientali
avverse caratterizzate dall’estrema variabilità delle condizioni
meteorologiche specie nella stagione
invernale, alle quali gli italiani,
normalmente operanti in clima mediterraneo,
non erano - e non sono - avvezzi.
Le nebbie, soprattutto, che fecero atterrare
Gorrini su un’autostrada scambiata per pista d’atterraggio, un altro che andò a
finire in una piazza d’armi ad Amsterdam, ed altri ancora che “finirono fra i
pini”.
E proprio le avversità atmosferiche spesso
proibitive furono la causa di molti
incidenti verificatisi fin dal viaggio di trasferimento del 27 settembre 1940
dall’Italia al Belgio. In totale,
su 34 vittime del C.A.I. , ben 20 furono
dovute ad incidenti e solo 14 a combattimenti. 36 furono gli aerei persi dei quali ben 26 per
incidenti di volo.
Fra questi l’atterraggio d’emergenza, durante il
trasferimento, dell’aereo del Capo Squadriglia cap. Agnello che, rimasto
ferito, fu temporaneamente sostituito al comando dall’allora tenente anziano Alessandro
Citterio.
Il sergente
Gorrini, infine, con un linguaggio, per la verità, più consono per una gara sportiva, ma che
rivela la tempra dell’uomo, scrive che “il combattimento dell’11 novembre 1940
fu un gran bel combattimento”: e rievoca un singolare incontro durante un
raduno di ex combattenti della 2° guerra mondiale.
E’ avvicinato da un signore che gli chiede se lui è
Gorrini, e che alla sua risposta affermativa gli dice:” Eri tu su quel CR 42
che mi sparò addosso colpendomi ad un tallone!”. “Se sono stato io” è la
risposta, “tu allora eri quell’Hurricane
che mi sparò e i proiettili mi passarono attraverso le gambe!”. Era
proprio così, ed il nemico di allora con il quale l’italiano strinse poi una
cordiale amicizia, era Peter Towsend, asso dell’aviazione britannica, che nel dopoguerra ebbe un momento di grande
notorietà anche per il suo contrastato amore con la sorella della Regina
d’Inghilterra, la principessa Margaret.
Giovanni Zannini
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