In che modo l’imputato Senatore Silvio Berlusconi
abbia accolto la sentenza che, dopo anni di giudizio, ed esauriti i tre gradi
relativi, lo ha condannato per frode fiscale, è noto a tutti.
Come certi colti in fallo, proclama la sua innocenza, grida alla
persecuzione, si professa vittima dell’ingiustizia, critica violentemente i magistrati che l’hanno
condannato, li accusa di inciucio con la
politica e chiama i cittadini a
protestare contro quei giudici in malafede.
Ben diverso il comportame tenuto da un altro importante personaggio della
politica italiana - scomparso pochi mesi
fa – il Senatore Giulio Andreotti, lui pure incappato in vicende giudiziarie.
Nel corso di 11 lunghi anni egli le ha affrontate con la dignità del cittadino
fiducioso nell’indipendenza della Magistratura, sicuro che alla fine la verità avrebbe
trionfato. Nei due processi contro di lui intentati ( per
associazione mafiosa e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli) vi furono,
prima di arrivare alla definitiva assoluzione, anche sentenze di condanna.
Che fece allora: inveì contro chi l’aveva
condannato, gridò allo scandalo, si proclamò vittima di congiure e di manovre
occulte?
Nulla di tutto questo. Il suo atteggiamento fu di
estrema correttezza, di accettazione delle regole del gioco senza mai
sottrarvisi. Seguiva con grande attenzione, puntigliosamente, le vicende processuali,
era spesso presente in aula, non protestava
contro i magistrati che lo giudicavano perché, diceva, “occorre
difendersi nei processi e non dai
processi”. Dopo una condanna in primo grado poi riformata in appello, si limitò
a commentare che essa era stata “una
mortificazione che forse bilanciava i troppi onori che avevo avuto nel passato”
concludendo che “è inutile
drammatizzare”.
Due comportamenti, due stili diversi, quello di
Andreotti, vero uomo di stato nato e
vissuto alla scuola di De Gasperi, e quello di Berlusconi, uomo d’affari (innegabilmente abilissimo)
prestato alla politica, uso ad abbattere
con tutti i mezzi gli ostacoli che gli
si parano dinnanzi, e che s’indigna contro chiunque osi intralciare la sua
marcia.
Per non parlare di chi, con argomentazioni
fantasiose e ridicole, sostiene che non
è possibile espellere dalla vita politica un condannato che ha avuto milioni di
voti elettorali, e che continuano a
seguire un “leader”che, condannato dalla Magistratura italiana, neppure la
società più scalcagnata vorrebbe veder seduto nel proprio consiglio
d’amministrazione.
Giovanni
Zannini
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