La
“restituito” da parte della Chiesa veneziana a quella padovana di
un antico simulacro a lei caro potrebbe costituire un avvenimento
significativo e suggestivo.
Si
tratta della “pietra” sulla quale la tradizione vuole fosse
inginocchiata la Santa durante il suo martirio, e sulla quale
sarebbero rimasti prodigiosamente impressi i segni delle sue
ginocchia.
L’episodio
fu rappresentato dal Veronese oltre che in uno splendido grande
dipinto custodito agli Uffizi fiorentini, anche in un quadro più
piccolo ma altrettanto prezioso conservato nel Museo Civico padovano.
Vi
si osserva la Santa morente, inginocchiata, con il petto trafitto dal
pugnale e, sullo sfondo, il cocchio – sul quale si intravvede il
viso di lei accorrente a portar conforto ai fratelli cristiani
arrestati durante le persecuzioni dell’anno 304 - mentre attraversa
un ponte.
Proprio
quello padovano di Pontecorvo (da “Ponte curvo”, ossia a schiena
di mulo)che dal centro città, superando la “Canaletta”, adduce
a Piazzale e Porta omonimi, alla cui fine, sulla sinistra a ricordo
dell’evento, venne costruita una piccola edicola che esiste
tuttora e dove venne murata la pietra del martirio.
Questo
cimelio restò in loco fino al 1405 allorchè i veneziani -
finalmente impadronitisi di Padova - la portarono come preda di
guerra nella loro città depositandola nella veneziana omonima
chiesa di S.Giustina.
Ma
neppure lì trovò pace perché dopo la soppressione di questa chiesa
a seguito degli editti napoleonici, essa venne fortunosamente
trasferita nel 1810 nella chiesa di S.Francesco della Vigna ove
tuttora si trova, e murata su di una parete della cappella di San
Pasquale Baylon, terziario francescano spagnolo del Cinquecento.
Si
tratta di un quadrato di pietra grigia di circa 80 centimetri di lato
recante al centro due profonde incisioni, quelle che sarebbero state
impresse, secondo la tradizione, dalle ginocchia della Santa al
momento del suo sacrificio.
La
sua autenticità è attestata da una piccola lapide sottostante (una
specie di cartiglio, dunque) scritta in latino, datata 20 agosto 1462
che indica, evidentemente, la data in cui la pietra trafugata da
Padova venne collocata a Venezia nella chiesa di Santa Giustina, e
non quella, molto successiva, in cui avvenne il trasloco a
S.Francesco della Vigna.
Eccone
la traduzione:”Per notizia a noi pervenuta dagli antenati a seguito
di indubbia tradizione, è questa la pietra che qui riponemmo per la
devozione dei fedeli, sulla quale la Vergine Giustina impresse il
segno della sua genuflessione a seguito della preghiera fatta prima
del suo martirio”.
Vien
dunque da chiedersi se non sarebbe opportuno ed altamente
significativo riportare a Padova questo reperto che giace dimenticato
in una chiesa veneziana nella cappella dedicata ad un santo illustre
sulla cui santità non vi è dubbio alcuno, ma che con la martire
padovana non c’entra, francamente, per nulla.
Costituirebbe
la riparazione di un torto fatto da Venezia a Padova in tempi
fortunatamente assai lontani allorché perfino immagini sacre e
simulacri legati alla tradizione religiosa potevano costituire ambite
prede di guerra, ed una dimostrazione di carità e di amore fra
chiese sorelle.
Ove
ciò avvenisse, la “pietra” tornerebbe ad essere collocata nel
“suo” sacello proprio nel punto in cui si trovava, laddove oggi,
per iniziativa di Leone Sattin, titolare della contigua officina di
ciclo-riparazioni e di alcuni altri benemeriti cittadini, una bella
raffigurazione della santa copre un vuoto altrimenti desolante.
Giovanni
Zannini
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