Gli ebrei sono molto, ma molto più intelligenti di noi cristiani.
Sparsi per il mondo, senza una patria ove coltivare la propria
terra o costruire la propria casa, malvisti, e talora perseguitati per una maledizione solo oggi, e tardivamente, revocata, non restava loro che contare sul proprio
cervello, e con pochi o nulli quattrini, ma con molta fantasia e
inventiva, sono riusciti a
campare in genere piuttosto bene e, in molti casi, ottimamente.
Per cui non si
comprende come mai gente così
intelligente, esperta, conoscitrice
delle migliori tecniche previsionali,
ricca di informazioni di ogni genere ed in grado di effettuare
simulazioni attendibili, abbiano deciso, dopo la drammatica esperienza
della “shoa”, di gettarsi nella trappola medio-orientale.
Non è infatti difficile prevedere che, se si
pretende di entrare a forza in casa d’altri, il proprietario si ribelli, e
neppure può costituire titolo sufficiente per costruirsi la patria una promessa
divina, che, per quanto suggestiva, non costituisce, a tutt’oggi, titolo valido per il diritto
internazionale.
Senza contare, diciamolo, che se si considera, ed è grave, la responsabilità degli Jugoslavi di aver
spinto a suo tempo all’esodo dall’Istria 350.000 italiani, altrettanto grave è
la responsabilità degli ebrei di aver spinto fuori dalle loro terre oltre mezzo
milione (c’è chi dice di più), di
palestinesi.
Ma, dicono,
alcune parti di quella terra ce la siamo comperata.
Appunto, ma
come è possibile che gente esperta, anzi, espertissima, negli affari, abbia voluto fare un
investimento così pericoloso ed a così alto rischio?
Non sarebbe stato meglio cercare con pacifiche
trattative, anche con l’aiuto delle
autorità internazionali, soluzioni
concordate con altri stati per aderire al legittimo desiderio di patria del
popolo ebreo?
Non dimentichiamo che Theodor Herzl, alfiere della
riunificazione del popolo ebreo, si era dato dattorno, ai primi del 900, per
risolvere il problema trattando con diversi governi per ottenere pacificamente
un territorio (il cosiddetto “focolare”) in cui insediare lo stato ebraico.
Ricordiamo la trattativa degli anni 1902/1903 con
il governo egiziano disposto a consentire un insediamento ebraico nella penisola del Sinai al confine con la Palestina del sud, fallita perché tale soluzione fu ritenuta
irrealizzabile per la mancanza di risorse idriche. E come è da rimpiangere che
all’epoca non esistessero quegli impianti per la dissalazione dell’acqua marina
che hanno poi consentito alla intelligenza, allo spirito di sacrificio,
all’operosità degli ebrei e grazie ai
dollari dei loro correligionari statunitensi, di trasformare le sabbie della Palestina in
terre fertili e redditizie ! Quale soluzione sarebbe stata, infatti, migliore,
tenuto conto della contiguità con la Palestina tanto cara alla memoria ebraica?
Inoltre Herzl estese le sue ricerche anche alla
Russia, così ricca di territori incolti, all’Argentina, e perfino agli Stati
Uniti, e nell’agosto 1903 il 6° Congresso
Sionista accettò, sia pure in via
provvisoria, l’offerta del governo inglese di un vasto insediamento ebraico in Uganda
allora sotto sovranità britannica. Ma, dopo la morte di Herzl, l’8° Congresso Sionista, nel 1905, ribaltò la situazione e l’offerta britannica
fu respinta.
A proposito della “localizzazione” degli ebrei, è
curioso rilevare che nel 1938 il Gran Consiglio del Fascismo non escludeva la possibilità di concedere, anche
per deviare la immigrazione ebraica dalla Palestina, una controllata immigrazione di ebrei europei
in qualche zona dell’Etiopia. E ciò sia per evitare il sorgere di uno stato
ostile all’Italia fascista alle sue frontiere (dato che il Dodecaneso
all’epoca, era pur sempre Italia), sia
per simpatia verso “l’Islam con il quale l’Italia, massime dopo la conquista
dell’Etiopia è in rapporti cordiali e promettenti”, e per solidarietà verso gli
arabi ai quali “gli ebrei hanno portato via tutto”. (v. Antonio Spinosa –
“Mussolini razzista riluttante” – Oscar storia – Mondadori).
Ma, invece
di proseguire sulla strada di una ricerca pacifica che, nel dopoguerra, la
comunità internazionale avrebbe certamente favorito quale doveroso risarcimento
dopo il dramma della Shoah, prevalse la
tesi dell’insediamento violento in Palestina dimenticando che, come stabilito
dalla Carta Atlantica del 1941 ogni modifica territoriale avrebbe dovuto aver
luogo d’intesa con i popoli interessati.
La conseguenza è quella che è sotto i nostri
occhi: una “guerra dei 60 anni” nella
quale (scrive Carlo Cardia su “Avvenire del 22 novembre scorso) “la popolazione
d’Israele vive nella precarietà perenne
della propria esistenza senza poter prefigurare il futuro e la popolazione
palestinese ha solo la certezza di un presente di povertà e guerra intermittente,
e dell’assenza di uno stato che ne definisca identità e sviluppo”.
Mentre sempre più alto e frequente è l’invito dei
palestinesi agli israeliani:”Potete scegliere se restare all’inferno o
scappare. Tornate in Germania, Polonia, Russia, America” (dove risiede tuttora la maggior parte degli
ebrei al mondo).
Un tragico invito oggi irrealizzabile, ma che
attesta quanto grave sia stato l’errore degli ebrei (e della comunità
internazionale influenzata dalla potentissima “lobby” ebraica che lo favorì) di volersi costruire
una patria in casa d’altri.
Giovanni Zannini
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