Per quanto incredibile possa apparire, donna Rachele, la moglie di Mussolini, apprese della tresca del marito con Claretta Petacci, nota a quasi tutti gli italiani, e non solo, appena all’indomani del 25 luglio 1943 che costituì per il duce la caduta del suo potere e per lei la caduta del duce come marito.
Lo afferma (in contrasto con altre tesi secondo le quali essa ne era al corrente), Vittorio, figlio del duce, nel suo “Due donne nella tempesta – Arnoldo Mondadori Editore – 1961 “ ove racconta fatti ed episodi della vita di Rachele e di Hedda Ciano Mussolini soffermandosi in particolare sul contrasto fra la moglie e l’amante del duce.
Secondo l’autore, lo scontro decisivo fra le due donne avvenne allorchè Mussolini, liberato dagli uomini di Hitler sul Gran Sasso, prese la tormentata decisione di fondare la Repubblica Sociale Italiana installandosi a Salò che divenne la capitale dello stato fantoccio succube dei tedeschi.
Claretta Petacci, arrestata all’indomani del fatidico 25 luglio, e poi liberata dopo l’8 settembre 1943 raggiunge l’amante sul lago di Garda e si installa a Gardone nella villa Fiordaliso.
Il libro rivela che la delicata situazione venne affrontata sia dal figlio che dalla moglie all’insaputa l’uno dall’altro, in tempi assai vicini, e, pur in assenza di date, pare di comprendere che l’iniziativa , tendente a convincere il padre ad allontanare l’amante, fu presa dal figlio Vittorio.
Il legame del duce aveva suscitato critiche anche da parte dei più fedeli fascisti repubblicani che consideravano la Petacci come un’onta ed un pericolo perché l’immagine del capo facilmente manovrato da una donna che per di più non era sua moglie, costituiva politicamente una situazione di pericolo.
Il figlio condivideva tale critica e si decise, con immaginabile comprensibile imbarazzo, ad affrontare la situazione in un colloquio con cui pregò il padre “per il bene di tutti, di sacrificare anche l’amore di questa donna imponendole di allontanarsi da Gardone nel più breve tempo possibile”.
Mussolini, pur tranquillizzando il figlio che, nonostante quel legame, “nulla sarebbe cambiato nei riguardi della mamma e nostri”, alla fine lo ringraziò per la franchezza dimostrata e concluse affermando che “non aveva nulla in contrario ad allontanare Clara da Gardone”.
Tale colloquio fu certamente riferito da Mussolini all’amante che, due giorni dopo scrisse a Vittorio una lettera di sette pagine con la quale ribadiva il suo profondo amore per il padre, affermando che “quelle poche ora che riusciamo a strappare alla dura realtà delle cose e degli uomini io le passo a consolarlo di tante amarezze e di tanti dolori”.
E concludeva: ”Anche lei, però, vuole allontanarmi da qui. Se questo sarà necessario dovrò ubbidire…ma non creda che questo rappresenterà un vantaggio per suo padre che, andata via io, sarà ancora più solo, senza un amico, senza nessuno”.
Ma quale è il punto di vista di Vittorio Mussolini a proposito del legame con la Petacci, dopo il delicato colloquio con il padre?
Molto comprensivo. “…Mi parlò di lei – scrive – con molta umanità, con molta pacatezza… Ebbi l’impressione che Clara Petacci rappresentasse per lui un affetto indubbiamente profondo, anche perché forse era la prima donna, fra le tante che aveva avute, che lo amasse disinteressatamente: ma che tuttavia ella non rappresentasse in alcun modo un pericolo né familiare né tanto meno politico. Via via che mio padre parlava, io mi sentivo sempre più piccolo e, da accusatore, quasi accusato…”.
E dopo aver ricevuto la lettera dalla Petacci? Anche qui il commento è molto pacato, parzialmente assolutorio:”…Ripensandoci con l’andare del tempo e imparando a giudicare più umanamente tutta questa vicenda, debbo convenire che anche lei non aveva tutti i torti e che non sempre un uomo in certi momenti eccezionali della vita può trovare nella sua famiglia, fra le persone del suo stesso sangue, quel conforto che invece gli può provenire da una persona assolutamente estranea , che si mette al suo fianco attraverso una delle mille e misteriose strade dell’amore…”.
Rachele Mussolini, naturalmente, non la pensa così, e ignorando l’avvenuto incontro del figlio con il padre, e che la situazione si sarebbe risolta anche senza la necessità di un suo intervento, poco tempo dopo (si ritiene - le date, come detto, mancano) parte all’attacco.
Lo scontro, scrive l’autore, avvenuto nella villa della Petacci, fu “drammatico, quasi disperato. Entrambe alla fine restarono sulle loro posizioni…anche se praticamente, un successo mia madre lo ebbe perché Clara, sconvolta, si decise a partire…”.
Ma grave fu il prezzo anche per la moglie che, pur forte di natura e temprata da drammatici avvenimenti, provata dalla violenza dello scontro, entrò in crisi.
Ricorda Vittorio:”…Per la prima volta nella mia vita, se si eccettuano i giorni in cui erano nati Romano e Anna Maria, io vidi mia madre a letto in preda ad uno shok nervoso e terribile. I medici si allarmarono temendo un collasso”.
Quali le conseguenze?
Da una parte “per mio padre che aveva immediatamente saputo dello scontro da una telefonata di Clara, il colpo fu quasi altrettanto grave. Tutto il giorno chiamò per telefono temendo che mia madre non volesse vederlo. Poi, verso sera, le mandò un biglietto chiedendole se poteva venire da lei…”.
Il pentimento è in atto.
E dall’altra?
La reazione è quella della donna tradita che si avvede con gioia di aver riacquistato l’amore dell’uomo amato.
“Ricordo – prosegue il figlio – che mia madre si rianimò e che nella sua ingenua politica femminile, mi incaricò di rispondere a papà che lo avrebbe visto volentieri, ma un poco più tardi”.
E qui un particolare veramente toccante:”…Approfittò di questo tempo per far riordinare la stanza e per curare un po’ anche sè stessa. Era sfinita e stravolta, irriconoscibile…”: è il tentativo disperato di non sfigurare troppo nel confronto con l’altra, più giovane e bella.
Finalmente, l’incontro.
“…Mio padre arrivò quasi subito, addolorato e commosso. Portai una sedia accanto al letto della mamma e li lasciai soli nella speranza che ritrovassero un’ora di pace. Restarono insieme tutta la sera. Dalla stanza vicina , dalla quale non riuscivo a muovermi, non potevo capire che qualche parola: parlava quasi sempre mio padre, con la sua voce grave e calda…”.
L’episodio, nel quale si inserisce l’affetto del figlio che non riesce a lasciare la stanza accanto a quella in cui si sta riannodando il vincolo della propria famiglia, è un quadro che restituisce un aspetto a noi sconosciuto del duce, quello dell’uomo in cui il sentimento prevale sulla passione.
Sentimento, però, definitivamente sepolto nella camera ove i due amanti trascorreranno la loro ultima notte nella triste casa di Giulino di Mezzegra, prima di affrontare, per l’ultima volta insieme, la morte.
Giovanni Zannini
PS: quanto segue non c’entra nulla con questo post. Serve solo ad evidenziare una curiosità che emerge dal libro citato di Vittorio Mussolini. Questi, eletto segretario dei fasci repubblicani in Germania, scrive in proposito “…Fu la prima elezione a carattere democratico a cui abbia mai partecipato”. La democrazia, una novità.
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