L'opportunismo fu certamente una delle
molte manifestazioni caratteriali messe in risalto dalla storia a
proposito della personalità del duce.
Si tratta di un'ansia di
presenzialismo, del desiderio di partecipare a fatti ed avvenimenti
importanti onde condividere, anche se non richiesto, le iniziative
altrui e trarne beneficio a proprio vantaggio per poter poi dire: io
c'ero. Anche se, come vedremo, tali iniziative non ebbero spesso
successo e non servirono quindi ad ottenere l'ambita gratitudine del
potente alleato tedesco.
Alcuni esempi.
A cominciare dall'attacco alla Francia
allorchè essa, all'inizio della seconda guerra mondiale, stremata
dall'offensiva tedesca, si trovava alle corde: la “pugnalata alla
schiena” che i francesi non mancano, all'occorrenza, ancor oggi, di
rimproverarci.
Nell'euforia dei successi delle armate
tedesche che lasciano presagire una sicura vittoria, Mussolini
vuole acquisirsi meriti che gli consentano di sedersi al tavolo dei
vincitori e si affretta ad intraprendere un'offensiva sulle Alpi
contro la Francia.
La “Battaglia delle Alpi Occidentali”
si svolse dal 10 giugno 1940 (data della dichiarazione di guerra)
al giorno 25 dello stesso mese, data della firma dell'armistizio fra
Italia e Francia, in coincidenza con quello franco-tedesco.
Nonostante la superorità numerica, a
causa dell'impreparazione del nostro esercito (male equipaggiato per
una guerra in alta montagna – molti i congelamenti) l'offensiva
italiana riuscì a scalfire solo in pochi casi le agguerrite difese
avversarie ottenendo una penetrazione di pochi chilometri in
territorio francese fino a Mentone.
Il costo della battaglia? 631 morti,
616 dispersi e 2.631 tra feriti e congelati, e così il duce potrà
vantarsi, con il dittatore tedesco, di aver favorito, con il suo
attacco, il tracollo della Francia. .
Ma il duce vuole arricchire il proprio
“carnet”, e non si lascia scappare le occasioni.
Hitler, nel 1941 miete successi in
Russia con la sua “Operazione Barbarossa” che lascia presumere
la conquista di Mosca e la vittoria finale anche sul fronte
orientale?
E Mussolini, nonostante il dissenso
dei generali della Wehrmact, solo grazie alla “benevolenza” di
Hitler, riesce ad inviare in Russia, ad iniziare dal luglio 1941, il
CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia) divenuto poi ARMIR
(Armata italiana in Russia), una forza di 220.000 uomini schierata
sul fronte del Don che, male armati e peggio equipaggiati sono
coinvolti nel fallimento dell' “Operazione Barbarossa” e
costretti ad una disastrosa ritirata.
Prezzo pagato: dei 220.000 italiani
partiti per la Russia, circa 100.000 non tornarono.
Un'altra ottima occasione di mettersi
in mostra è offerta a Mussolini dalla “Battaglia d'Inghilterra”.
Estate 1940: i bombardieri tedeschi si
accaniscono su Londra e si pensa che gli inglesi, colpiti da quella
valanga di fuoco, nonostante una stoica resistenza, debbano, alla
fine, crollare.
E' allora che il duce, non richiesto,
chiede ai tedeschi “l'onore” di partecipare alla mattanza. Viene
così costituito il C.A.I. (Corpo aereo italiano) composto da 180
velivoli tra bombardieri, caccia e ricognitori, che, dopo un
travagliato trasferimento, si installa in 5 areoporti in territorio
belga occupato dai tedeschi e gli viene assegnata una zona
d'operazione che non comprende però Londra. Per due mesi,
dall'ottobre al dicembre 1940, gli uomini del C.A.I., con aerei
tecnicamente superati che i colleghi tedeschi si prestano ad adattare
per l'impiego in un ambiente difficile ben diverso da quello
mediterraneo, e dotazioni inadeguate (combinazioni di volo leggere –
in testa, per protezione, l'elmetto della fanteria...) partecipano ad
azioni di bombardamento contro porti ed altri obbiettivi militari
inglesi che mettono in luce l'abnegazione degli aviatori italiani ed
il loro valore in qualche caso eroico.
Ma, ciononostante, Rosario Abate, nella
sua “Storia dell'areonautica italiana” - Casa Editrice Bietti
Milano 1974 – scrive di “inconsistenza dei risultati ottenuti”
e definisce il C.A.I. una “operazione dimostrativa di nessuna
utilità pratica” per cui i suoi 34 caduti non arrecarono
all'interventismo del duce beneficio alcuno.
Ma l'esibizionismo di Mussolini si
mette in mostra anche nella guerra sui mari.
Richiesto, questa volta dall'alleato
tedesco, di partecipare alla lotta sottomarina contro i rifornimenti
americani all'Inghilterra, si affretta ad inviare tra la fine del
1940 e gli inizi del 1941, 32 dei 113 sommergibili costituenti,
all'inizio della guerra, una delle maggiori, se non la maggiore,
flotta subacquea esistente.
Superato il doppio ostacolo delle
terribili correnti dello stretto di Gibilterra e dell'occhiuta
sorveglianza della marina inglese, essi riescono a raggiungere la
base denominata “Betasom” sede del comando delle forze italiane
subacquee in Atlantico sorta in Francia a Bordeaux.
Gli innegabii successi ottenuti dai
nostri sommergibili in Atlantico (101 navi affondate per complessive
569.000 tonnellate) furono però considerati inadeguati in confronto
a quelli tedeschi e per questo 10 di essi furono fatti rientrare in
Mediterraneo per scortare i convogli di rifornimenti dall'Italia ai
combattenti in Africa settentrionale. Dei 26 rimasti a “Betason”
16 affondati o dispersi, ed i residui 6 trasformati, verso la fine
della guerra, per la loro maggiore capienza rispetto a quelli
tedeschi, in inediti “sommergibili-cargo”.
Destinati, questi, data
l'impossibilità di collegamenti aeri o con navi di superfice, a
raggiungere, con viaggi rocamboleschi, l'Estremo Oriente per
caricare, nei porti conquistati dall'alleato Giappone, quelle materie
prime necessarie all'industria bellica tedesca (come gomma, rame,
stagno, cobalto, mica, lacca, tungsteno, molibdeno, volframio e
simili) sempre più difficili da reperire in Europa.
Essi furono coinvolti nell'armistizio
fra Italia e alleati dell'8 settembre 1943: i tre arrivati a
Singapore, (“Torelli”, “Giuliani” e “Cappellini”)
sequestrati dai giapponesi; i due (“Finzi” e “Bagnolini”)
rimasti a “Betasom” catturati alla banchina dai tedeschi; uno (il
“Cagni”), in navigazione per raggiungere Singapore, riesce a
consegnarsi agli inglesi nel porto di Durban in Sud-Africa.
Questi alcuni frutti del presenzialismo
mussoliniano: e c'è, ancor'oggi, chi inneggia al duce e alla marcia
su Roma del 28 ottobre 1922.
Padova 19.X.2017
Giovanni Zannini
Nessun commento:
Posta un commento