Ed il titolo
annuncia che l’Unione Africana (UA), a 50 anni dalla sua fondazione, ha
scoperto la “responsabilità” di “vigilare” sul continente ove esiste “una crescente
disparità sociale, oltre ad “una forte criticità della
democrazia e del pluralismo”.
Non più dunque la forza per abbattere dittatori
crudeli, corrotti e colpevoli di negare
la libertà ai propri popoli, ma operare pazientemente, con la persuasione, il
suggerimento, la consulenza, l’aiuto e, all’occorrenza, con accorte pressioni
nei loro confronti per vincerne la resistenza.
Evitando di imporre con le armi, pretesa sciocca e infantile, giustizia sociale e democrazia, ma insegnando a come pervenirvi.
Estendendo, nella sostanza, al campo
internazionale quanto il Vangelo di
Matteo (Mt.cap.18) suggerisce per risolvere i casi privati: la pazienza e la tenacia nello
sforzo di correggere chi sbaglia, evitando di ricorrere intempestivamente, e sbrigativamente, alle maniere forti, come peraltro
costantemente invocato dai Pontefici, ultimo
Papa Francesco sulla crisi siriana.
Questa dottrina che giungerà, si spera,
dall’Africa, dovrebbe trovare applicazione anche in sedi internazionali più vaste, e nella stessa ONU, per evitare
comportamenti che l’esperienza ha dimostrato
negativi e controproducenti.
Così, l’aver abbattuto dittatori come Saddam
Hussein in Irak (dove, come titola “Avvenire”, “10 anni dopo Saddam il futuro
deve ancora iniziare”) o contribuito ad eliminare Gheddafi in Libia, non ha risolto i problemi di quei paesi, ma li ha
aggravati creando instabilità, confusione e lutti.
Meglio, molto meglio sarebbe stato l’intervento pacifico e discreto di organismi internazionali, di
mediatori pubblici o privati volontari (i cosiddetti “amateur peace brokers” - mediatori
amanti della pace - come l’italiana “Comunità di S.Egidio”).
Anche per fugare il sospetto che azioni di forza,
sia pure mascherate da interventi umanitari che sempre guerre sono, patrocinate da nazioni notoriamente dal
grilletto facile, con il pretesto di portare libertà ai popoli oppressi, possano
favorire chi mira con il lurido commercio
delle armi, a rimpinguare i propri sordidi portafogli.
Esemplari, in proposito, i successi di Cuba,
Norvegia e Cile che insieme, con una mediazione costante e paziente, sono
riusciti a far siglare al governo colombiano ed alle FARC (Fuerzas Armadas
Revolucionarias) divise da una guerra civile che si trascinava da 50 anni in
Colombia, un primo accordo (sulla terra e sulla situazione delle
campagne) che apre la strada alla conclusione del conflitto; o degli italiani
della “Comunità di S.Egidio” che con una accorta diplomazia, competenza e caparbia
volontà, dopo aver superato momenti di
grave scoraggiamento, hanno portato in Mozambico alla pace ed alla
riconciliazione le due opposte fazioni del Frelimo e del Renamo che per anni si
sono affrontati in una guerra civile con quasi un milione di morti.
Ci auguriamo dunque che Emma Bonino, neo Ministro
degli Esteri Italiano esponente radicale
pacifista da sempre contraria alla violenza, faccia prevalere, nella prevista
conferenza di “Ginevra 2” per risolvere
il conflitto siriano, i “trattativisti”
favorevoli al confronto pacifico, con a capo la Germania, sugli “interventisti”
(Gran Bretagna e Francia) favorevoli ad
immettere armamenti nella polveriera siriana in appoggio ai rivoluzionari
anti-Assad.
Con la speranza che, alla prova dei fatti, le sue
ripetute dichiarazioni a favore della diplomazia per risolvere i conflitti,
trovino, in questa ed altre analoghe situazioni, concreta applicazione.
Padova 3 giugno 2013
Giovanni Zannini
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