Nel giugno 1942 Churchill con un rappresentante di Roosevelt si recò precipitosamente a Mosca per incontrare Stalin che, furioso, esigeva l’immediata apertura di un secondo fronte ad ovest per alleggerire la pressione tedesca su Mosca.
Forse timoroso che i rovesci subiti inducessero i russi ad una pace separata con i tedeschi, Churchill, pur confermando che uno sbarco in Francia sarebbe stato possibile solo fra un paio d’anni, promise a Stalin che sarebbero state prese iniziative per impegnare maggiormente le forze tedesche ad ovest.
Tornato a Londra, il primo ministro pretese dai militari un’azione di forza contro i tedeschi in territorio francese e lo sbarco a Dieppe del 19 agosto 1942 voluto da uno stratega “amateur” (dilettante – evidente l’allusione a Churchill che collaborò attivamente alla preparazione dell’impresa vista con molte riserve dagli esperti militari) clamorosamente fallito fu il prezzo pagato dagli alleati per onorare le promesse del premier inglese a Stalin.
Questo, dunque, il movente del fallito “raid” su Dieppe, una sconfitta che gli alleati preferiscono obliare, e solo pochi visitatori si recano nel piccolo, polveroso e poco pubblicizzato museo della guerra di Dieppe.
Per una migliore comprensione dell’episodio che venne esaltato dai tedeschi come prova dell’impossibilità di violare il “Vallo atlantico” occorre premettere che quel “raid” non aveva lo scopo di occupare stabilmente il territorio attaccato, bensì quello di danneggiare quanto più possibile il potenziale militare nemico ivi esistente e quindi rientrare alle basi di partenza.
Questo intento fu chiaramente manifestato agli abitanti di Dieppe invitati dagli alleati a restare passivi per evitare possibili rappresaglie assicurando, nel contempo, che il momento della completa liberazione non era lontano.
I “dieppois” obbedirono ed i tedeschi, ritenendo, a torto, tale atteggiamento ostile agli invasori e favorevole a loro, li vollero premiare liberando i soldati francesi di Dieppe che erano stati fatti prigionieri dall’inizio della guerra.
L’operazione - denominata in codice “Jubilée” e che avrebbe dovuto risolversi in una dozzina di ore – prevedeva la distruzione dell’artiglieria posta a protezione della città, dell’aeroporto, delle installazioni radar ed elettriche, delle attrezzature portuali e dei depositi di munizioni e di carburante; la ricerca di documenti; la cattura di prigionieri; infine, il confronto aereo con la Luftvaffe per saggiarne le potenzialità.
Era previsto che lo sbarco sarebbe avvenuto su di un tratto di spiaggia di una ventina di chilometri con al centro Dieppe, in molti punti delimitata da alte falesie irte di cannoni tedeschi.
In un primo tempo “commandos” inglesi e unità canadesi avrebbero dovuto distruggere le difese tedesche a sud (Varangeville, Pourville) ed a nord (Puys, Belleville, Berneval) della città, dopo di che sarebbe scattato l’attacco frontale contro il centro cittadino.
Così, una flotta composta da 250 natanti fra mezzi da sbarco e navi da battaglia recante a bordo 6000 uomini in maggioranza canadesi, con una copertura aerea costituita soprattutto da caccia, salpa, nella notte del 18 agosto 1942, dai porti inglesi di Newhaven, Shorham, Portsmouth, Southampton e Gosport ed alle 3 del giorno successivo si presenta dinanzi alle coste francesi.
Ma le cose non vanno secondo i piani prestabiliti.
A sud di Dieppe, a Varangeville, il “commando n.4” britannico, raggiunto l’obbiettivo (distruzione di una batteria costiera) si reimbarca; ma un migliaio di canadesi sbarcato a Pourville, dopo qualche iniziale successo viene sopraffatto dai tedeschi e riesce a fatica a reimbarcarsi perdendo quasi metà degli effettivi.
A nord, a Puys, il fallimento è totale: i canadesi vengono falciati appena presa terra, 128 muoiono e 250 sono catturati.
Anche al “commando n.3” inglese va male: un reparto sbarcato a Belleville distrugge una batteria costiera tedesca ma poi, a corto di munizioni è costretta a reimbarcarsi; l’altro sbarcato a Berneval dopo un duro combattimento si arrende.
A questo punto, pur dopo questi insuccessi, l’Alto Comando delle Operazioni Combinate, forse anche a causa di difettose comunicazioni con i reparti impegnati, ordina egualmente di sferrare l’attacco frontale.
Ma l’esito è disastroso: i genieri incaricati di praticare varchi nella difesa tedesca per aprire la strada ai carri armati “Churchill”, impiegati per la prima volta, sono annientati e, di conseguenza, i mezzi corazzati, non appena toccata terra, distrutti, mentre i difensori dai bunker ed anche dai tetti degli alberghi prospicienti il luogo dello sbarco, fanno strage degli assalitori.
Solo una ventina di canadesi raggiunte le prime case dell’abitato, il Casinò ed il teatro, riesce a penetrare nelle vie circostanti prima di essere uccisi o fatti prigionieri nonostante il sopraggiungere di rinforzi che a quel momento si manifestano inutili.
Molte le cause della sconfitta: la rinuncia a preliminari massicci bombardamenti aerei e navali per scompaginare le difese avversarie; il mancato impiego di paracadutisti; l’insufficiente numero di uomini impiegato nell’impresa; i materiali inadatti ; l’eccessiva rigidità nel voler applicare ad ogni costo i piani prestabiliti; la scarsità del munizionamento e le difettose comunicazioni.
Caro il prezzo in vite umane e materiali pagato dagli alleati: 1.197 morti di cui ben 900 canadesi; 1.500 feriti; circa 2000 prigionieri; 34 navi affondate; 108 aerei abbattuti; carri armati,
armi e munizioni abbandonati sulla spiaggia.
Ma i soldati canadesi vittoriosi che l’1 settembre 1944 liberarono
Dieppe seppero vendicare i camerati caduti nel “raid” del 19 agosto 1942.
E le innumeri bandiere bianche e rosse con la foglia d’acero al centro che sventolano a Dieppe dando al visitatore l’impressione di trovarsi, per chi sa qual prodigio, in Canada anziché in terra di Francia, attestano l’imperitura riconoscenza della città per i canadesi.
Ricordando, non dimentichiamolo, che lo sfortunato “raid” non fu vano perché costituì una preziosa esperienza – anche se pagata a caro prezzo - per il successo, due anni dopo, con l’operazione “Overlord”, del vittorioso sbarco in Normandia del 6 giugno 1944.
Giovanni Zannini
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