Come noto, il Coronavirus lascia in coloro che l'hanno avuto, e che sono scampati, disturbi di vario genere - definiti “Sindrome Post Covid-19 ” - , che persistono dopo la guarigione e la conseguente eliminazione del virus dall'organismo, destinati a sparire dopo un tempo più o meno lungo.
A me il virus ha lasciato una coda assai singolare, inedita credo, e, per fortuna, innoqua: ha risvegliato il ricordo di canzoni ormai dimenticate, direi, d'antiquariato, scritte e cantate pressapoco negli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale, ossia decine di anni fa.
Canzoni delle quali non ricordo né il titolo, né l'autore, ma solo l' aria ed il testo, alcune leggere, direi quasi infantili, altre più impegnate a cantare l'amore e le bellezze del creato.
Fra le prime, create da musicisti alla buona e da parolieri che si sforzavano di metterci dentro le parole che facessero rima, emerge dalla mia memoria un “Bombolo” che “con i piccoli piè, con il grande gilet fece un capitombolo”, ed un tal Pippo che “quando passa ride tutta la città” perché “si crede bello come un Apollo, ma saltella come un pollo...”.
Altre volte i postumi del Coronavirus mi fanno canticchiare i “Pompieri di Viggiù che quando passano i cuori infiammano” di fanciulle che allora si accontentavano di poco e che cantavano, preoccupate, di “un uccellino che non sapeva navigare, non si dà pace il poverino: che cosa deve fare?”; mentre un'altra gorgheggiava che “se potessi avere musica leggera, tutta la mattina, fino a tarda sera, io potrei trovare tutta la felicità.
Talora, invece, mi sovviene che “Parlano d'amore i tuli, tuli, tuli pan” cantato dalle olandesine del Trio Lescano che, naturalmente, esaltavano il loro fiore nazionale, oppure mi trovo ad ascoltare il canto di un giovinotto che aspetta la sua “bella sotto il monumento con una rosa in mano...al primo appuntamento nel parco di Milano”; di un altro che dava una notizia molto interessante, e cioè che “nel bazar di Zanzibar, si può danzar, si può ballar, si può mangiar....e non pagar”; mentre un altro giovane di belle speranze esaltava il “Valzer del buon'umor che ti dà l'aria del gran signor”.
Fin qui, canzoncine di musica molto, molto leggera che al giorno d'oggi farebbero pensare che i giovani di un secolo fa che cantavano quella roba fossero un pochino sempliciotti: ma il virus porta alla mia memoria anche composizioni che non sfigurerebbero ai nostri giorni.
Come quella di un innamorato tradito che cantava “Vento, vento, portami via con te, raggiungeremo insieme il firmamento dove le stelle brilleranno a cento.....e senza alcun rimpianto voglio scordare il tradimento. Vento, vento, portami via con te”: parole aggraziate, una bella voce e un'aria che ti faceva fischiare il vento nelle orecchie, e ti portava in alto.
O l'altra in cui il cantante faceva all'amica un invito galeotto: “Vieni, c' è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerla tu? Vieni, è la strada del cuore dove nasce l'amore che non muore mai più. Laggiù fra gli alberi inondati dai raggi d'or c'è un nido semplice dove nasce l'amor...”. E tanto bastava per suscitare la fantasia d'un giovincello che l'amore non l'aveva ancora incontrato.
E poi, “Vivere!”, la canzone che ha una storia perchè criticata dalle autorità ecclesiastiche dell'epoca per il suo contenuto troppo godereccio, cosicchè, accusata di portar jella, era cantata solo da quelli che dei divieti di Santa Madre Chiesa se ne facevano un baffo.
Giudicate voi: “Oggi è una bellissima giornata” - cantava un giovinotto che si era finalmente liberato di un amore indigesto - “una giornata di felicità” perchè “oggi la mia bella se n'è andata e mai più ritornerà!”, per cui “son padrone alfin della mia vita” e “voglio vivere sempre così giocondo, voglio vivere per le follie del mondo....”.
Si, quel giovinotto era piuttosto spregiudicato, ma mi pare che la critica dei preti fosse esagerata.
Io, comunque, che con le tonache ho sempre voluto andar d'accordo, avevo trovato il modo di cantare quella canzone - che mi piaceva un mondo! – con l'anima in pace, sostituendo “vivere” con “ridere” sfruttando l'assonanza delle due parole, senza recar danno alla canzone che, anzi, secondo me, ci guadagnava.
Sentite un po': “Voglio ridere così col sole in fronte”, “Voglio ridere e goder l'aria del monte”, “Voglio ridere delle follie del mondo” e così via.
In fondo, una bella risata non ha mai fatto male a nessuno ed anzi, dicono, fa bene alla salute.
Padova 4-2-2022
Giovanni Zannini