giovedì 11 dicembre 2014

A PROPOSITO DI UNIONI CIVILI

Nella nostra città non vi è, come in altre, un “Registro delle unioni civili” (peraltro generalmente poco utilizzato, ove esiste) nel quale le coppie gay si possono iscrivere,  vi è invece la possibilità di ottenere dall'Ufficio di Stato Civile, a richiesta, un documento del seguente tenore:”
ATTESTAZIONE DI ISCRIZIONE NELL'ANAGRAFE DELLA POPOLAZIONE QUALE FAMIGLIA ANAGRAFICA  COSTITUITA DA PERSONE  COABITANTI LEGATE DA  VINCOLI AFFETTIVI  -  Il SINDACO  - vista la richiesta di attestazione  presentata dai signori..., visto l'art.33  secondo comma del D.P.R. 30.5.1989 n.223 “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico  della popolazione residente”; visti gli atti d'ufficio ATTESTA che le persone sopra indicate  sono iscritte nell'Anagrafe della popolazione  di questo Comune quale famiglia anagrafica per coabitazione  in via...n...in ragione dell'esistenza di vincoli affettivi dichiarati dai medesimi. La presente attestazione non costituisce certificazione anagrafica così come contemplato dall'art.33 comma 1 del D.P.R. 223/1989.”
Ma questo tipo di “pubblicizzazione” pare, nella nostra città,  interessare molto poco dal momento
che dal 2007 – anno della delibera istitutiva – di queste “attestazioni” ne sono state rilasciate, a tutt’oggi  (febbraio 2013), solo 56, anche se è difficile stabilire se ciò dipenda da motivi di riservatezza, oppure dalla non conoscenza di potersi avvalere di tale opportunità.       
Come pure è evidente che in tal modo a Padova talune  limitazioni di carattere amministrativo interessanti le coppie gay possono essere, con l'attestazione, superate.                                                                                                                                          Giovanni Zannini                                                                                                                      





venerdì 5 dicembre 2014

FRANCESCO NULLO EROE SENZA PAURA

Ma senza macchia no, perchè di eroi senza paura ed anche  senza macchia, è difficile trovarne, e  Nullo una macchia ce l'ha, e si chiama Pettoranello del Molise.
Nato a Bergamo nel 1825, è  uno dei fedelissimi di Garibaldi con il quale partecipa alla campagna del 1848, difende  la Repubblica Romana nel 1849 seguendo poi il Generale nella ritirata, è Cacciatore  delle Alpi nel 1859 combattendo a Varese ed a S.Fermo.  Partecipa poi alla spedizione dei Mille nel 1860 espugnando fra i primi Palermo e poi Reggio, l’1 ed il 2 ottobre prende  parte alla battaglia del Volturno (non uno scontro avventuroso e  d'impeto consueto al Garibaldi guerrigliero, ma una vera e propria battaglia campale nel quale egli si manifesta anche abile stratega) ove è promosso sul campo  Colonnello, il 29 agosto 1862 è al suo  fianco  nel fatale  Aspromonte.
Solo pochi mesi dopo  parte per la Polonia,vindice della libertà dei popoli, così come avevano fatto  Garibaldi  in sud-America - per l'indipendenza della Repubblica  del Rio Grande do Sul contro l'impero brasiliano e per l’Uruguai contro l’Argentina -  e poi altri garibaldini in Grecia, a Creta ed in Spagna,   dando luogo a quel fenomeno che ben può definirsi  “volontariato d’esportazione”.
Il 23 gennaio 1863, infatti,  i patrioti polacchi erano insorti contro i dominatori russi  e Nullo non fu sordo al loro richiamo accorrendo con una “Legione Italiana” di 600 uomini della quale faceva parte (curiosità) un manipolo di una ventina di volontari garibaldini organizzati e armati da quel tal  Luigi Caroli, detto “Il Gigio”, amante della marchesina Raimondi sposata da Garibaldi nel 1860 e subito ripudiata. Caduto prigioniero  morrà di stenti lavorando nelle tremende miniere siberiane.
L'impresa dei 600  ha un esito drammatico: nella battaglia di Krzykawka  del 5 maggio 1863 sono battuti,  Francesco Nullo muore, combattendo eroicamente,  a Olkusz ove sulla sua tomba è stata eretta una  grande stele  in pietra.
Per questo suo sacrificio è onorato  in Polonia come eroe nazionale e molte strade ed edifici pubblici portano il suo nome.
Per completare il quadro  aggiungeremo che Garibaldi lo definì “il più bello dei garibaldini” e gran scavezzacollo, mentre, più tardi, vedremo che sapeva pure suonare il pianoforte (anche se nei momenti sbagliati).
Vediamo ora quale situazione Nullo trova dopo il passaggio dello stretto di Messina.
Dopo lo  sbarco a Marsala Garibaldi, nella sua marcia attraverso la Sicilia  aveva suscitato l’ entusiasmo di gran parte della  popolazione isolana e molta gente volonterosa ma digiuna di preparazione militare, era accorsa,  come  quel migliaio di “picciotti” di Salemi, armati ed a cavallo, che vengono immediatamente  inquadrati in qualche modo sotto il nome pomposo di “Cacciatori dell’Etna”.

Tra “camorristi” e “cafoni”.

Ma, passato lo stretto e intrapresa la risalita dello stivale, la situazione era mutata perché se pochi  “camorristi” si erano posti al seguito di Garibaldi, i   contadini, i “cafoni” (che i piemontesi chiamarono poi “briganti”), fedeli al re Francesco II  di Borbone,  erano molti di più, specie negli Abruzzi e nel Molise,  ed  ingrossavano le fila dell’esercito borbonico ancora forte di ben 50.000 uomini (contro i quasi 30.000 di  Garibaldi), e ben organizzato. Il re si era rifugiato a Gaeta schierando  il suo esercito a difesa al di là dei fiumi  Volturno e Garigliano (una specie di “linea gotica”, più di un secolo fa……)  per stoppare la marcia di Garibaldi verso nord.
 In questa situazione,  il 19 settembre  1860, Garibaldi che aveva posto il suo Quartier Generale a Caserta aveva dovuto recarsi a Palermo per risolvere alcuni problemi ivi insorti lasciando  l’ordine di restare fermi sulle posizioni raggiunte senza assumere alcuna iniziativa.
E ciò in attesa  delle truppe piemontesi  agli ordini del Generale Cialdini  che, superato il confine dello Stato Vaticano e sconfitti i papalini a Castelfidardo,  marciavano verso sud con un duplice intento. Anzitutto attaccare i borbonici che si sarebbero così trovati di fronte i garibaldini, ed alle spalle le truppe regie. Quindi,  quindi, bloccare Garibaldi che non faceva mistero della sua intenzione – la sua ossessione - di proseguire la marcia per conquistare Roma ed abbattere il potere pontificio, ma con ciò creando quelle complicazioni diplomatiche con la Francia che Vittorio Emanuele voleva ad ogni costo evitare .
Purtroppo, i suoi ordini non vengono, da taluni,  rispettati: fra questi, il gen.Giuseppe Sirtori che, mossosi alla volta di  Cajazzo (posto a poche miglia da Capua ove era accampato il grosso dell’esercito borbonico), a costo di gravissime perdite si impadronisce del piccolo centro dal quale viene successivamente sloggiato e costretto ad una ritirata disastrosa. “L’operazione di Cajazzo – è il duro commento di Garibaldi nelle sue memorie – fu più che  un’imprudenza: fu mancanza di tatto militare da parte di chi comandava”.
E poi, Francesco Nullo.

La sconfitta di Pettoranello.

Questi, da Boiano, ove, per ordine del Generale, si era acquartierato, avuta notizia che i borbonici si erano di nuovo impadroniti di Isernia (che era riuscita in un primo tempo a scacciarli), dimentico dei precisi ordini ricevuti, si mette in moto per andarla a liberare.
Giunto dopo una faticosa marcia nelle vicinanze di Pettoranello del Molise fa riposare i suoi uomini e, dopo aver dato le opportune disposizioni per la difesa della posizione raggiunta, sale con il suo seguito al paese ove è ospite a pranzo della famiglia Santoro, notabile del posto.
Solo un  drappello agli ordini di Alberto Mario prosegue verso Isernia e ingaggia il combattimento con le avanguardie dei borboni  usciti in  forze da quella città per  affrontare  i garibaldini avanzanti.
Intanto, gli ufficiali rimasti con gli uomini a riposo ai piedi di Pettoranello, avvistati movimenti sospetti alle loro spalle e sui fianchi si affrettano a salire al paese per avvertire di ciò il comandante Nullo.
Lo trovano che, dopo aver pranzato, suona il pianoforte e agli ufficiali allarmati che lo avvertono del pericolo incombente, risponde burbanzoso:”Sono io che comando. Tornate ai vostri posti”.
Poi,  ripreso il comando, per dar l’esempio, con il suo Stato Maggiore e con pochi altri si avvia a dar man forte agli uomini di Alberto Mario che già avevano ingaggiato un duro combattimento con i borbonici: e li mette in fuga.  
Ma, contemporaneamente,  un gran numero di “cafoni” (fedeli al  re Francesco, definiti  poi “briganti” dai piemontesi), ben armati,  dalle alture di Pettoranello (che era di nuovo caduto nelle mani del nemico), e di Carpinone, posti uno di fronte all’altro,  e da Castelpetroso, attacca i garibaldini che si trovano chiusi in una morsa: di fronte  i borbonici tornati in forze,  alle spalle i “cafoni” che adottano una micidiale tecnica di guerriglia. La lotta è cruenta, il massacro di garibaldini è impressionante.
 Nullo, dopo averli incitati alla resistenza assicurando loro rinforzi che non giungeranno mai riesce a raggiungere Bojano ove si trascinano poi, decimati e stremati, i suoi uomini  superstiti della dura battaglia.     
Negli eserciti, in casi del genere  sono previsti provvedimenti disciplinari a carico dei  responsabili di violazione degli ordini ricevuti, specie se detta violazione ha avuto conseguenze così disastrose.
Non si sa se ciò sia avvenuto, ma pare si debba escluderlo.
Garibaldi scrive, nelle sue memorie,  che “la sconfitta di Cajazzo è  stata l’unica dell’”Esercito Meridionale” – così egli definisce il suo esercito con il quale sconfisse il Regno delle Due Sicilie – in tutta quella gloriosa campagna”: ma, generosamente, pare assolvere il responsabile Giuseppe Sirtori, capo del suo Stato Maggiore, osservando che  “chi ne aveva l’incarico ritenne opportuno fare qualcosa di più del necessario e, col ricordo delle vittorie precedenti,  ritenne che qualunque impresa sarebbe stata possibile ai nostri prodi”.   
Sta di fatto che la sconfitta di Cajazzo non arrecò alla carriera del gen.Giuseppe Sirtori    pregiudizio alcuno: fu nominato, infatti, Prodittatore a Napoli.
Per Francesco Nullo l’eroica  morte a soli 38  anni nelle gelide steppe della Polonia,  servì a cancellare la memoria  dell’infausta avventura di Pettoranello di Molise.     Giovanni Zannini

                                                                                        


martedì 2 dicembre 2014

O POLITICI O PROFESSIONISTI

Le cronache hanno informato sulla scarsa  frequentazione – che lo pone al vertice di una singolare classifica ad hoc - delle aule del Senato da parte di un Senatore cittadino noto professionista principe del foro.
Ciò pone il problema se sia opportuno, come attualmente avviene ,   consentire a chi svolge un’attività professionale,  di  proseguirla una volta eletto al parlamento,  o se, invece,  vi debba essere incompatibilità. 
E’ infatti di tutta evidenza che una professione intensamente  vissuta impedisce al politico di dedicare, come dovrebbe, il suo tempo  alle incombenze cui  i suoi elettori lo hanno destinato e che egli ha liberamente, e sempre con piacere, accettato di svolgere.
Con la conseguenza che se, invece, queste due attività vengono contemporaneamente esercitate, il politico-professionista   viene a percepire  dalla collettività un compenso (come noto, non irrilevante)  per un’attività parlamentare che egli, nella realtà non ha svolto, e che si somma a parcelle spesso laute. 
E dunque il professionista al quale  è offerta una candidatura politica dovrebbe decidere se accettarla, e quindi sospendere la sua attività professionale in caso di elezione,  o se, invece, rinunciando all’offerta fattagli, proseguirla.
Non sarebbe dunque male se questo problema di giustizia e di equità venisse affrontato anche dagli ordini professionali e, auspicabilmente, risolto.

                                                                                                     Giovanni Zannini