Pubblicato su "Camicia Rossa" - Organo Ufficiale dell'ANVRG (Ass.ne Naz.le Veterani Reduci Garibaldini)
La televisione ha recentemente rievocato l’episodio di Cefalonia
come esempio di resistenza dei militari italiani all’estero contro i tedeschi dopo l’8 settembre 1943.
Ma altri ve ne sono, non altrettanto noti, come la resistenza opposta per ben tre mesi dalla guarnigione italiana dell’isola di Lero, sempre nel Dodecanneso, contro soverchianti forze tedesche, o la guerra condotta contro di esse nella ex Jugoslavia dalle Divisioni Italiane Partigiane “Italia” e “Garibaldi”.
Per quanto riguarda specificamente quest’ultima, essa era derivata dalla fusione delle divisioni italiane di fanteria da montagna “Venezia” ed alpina “Taurinense” che si trovavano in Montenegro alla data dell’armistizio e che, prive di ordini superiori dalla madrepatria decisero di combattere a fianco dei partigiani di Tito contro i tedeschi che avevano invaso la Jugoslavia.
Dopo aver agito separatamente dopo l’8 settembre per tre mesi esse, con il benestare del Comando Supremo del Regno d’Italia del Sud riparato a Brindisi, il 2 dicembre 1943 unirono i loro organici dando vita alla “Divisione Italiana Partigiana Garibaldi”.
Inserita operativamente, anche con l’avallo degli anglo-americani che paracadutarono loro missioni, nel II Corpus dell’E.P.L.J. - l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia - continuò a dipendere dal Comando Supremo Italiano combattendo per 18 duri mesi fino alla data del rimpatrio avvenuta nei primi giorni del marzo 1945.
La collaborazione iniziale con i partigiani di Tito che videro i nemici italiani trasformarsi improvvisamente in loro alleati non fu ovviamente facile: ma poi i nostri riuscirono a convincere i titini che l’invasione delle loro terre era stata frutto di una decisione di Mussolini e del fascismo cui il popolo italiano, mai consultato, era rimasto estraneo.
La vera e propria odissea di questi nostri valorosi soldati che, respinte le ripetute lusinghe tedesche di resa, costituirono la più grande unità dell’esercito italiano partecipante all’estero alla resistenza contro il nazi-fascismo, emerge dalla documentazione esistente presso il museo del Reggimento “Garibaldi” a Sacile, pubblicata dal trimestrale “Camicia Rossa” organo dell’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini (ANVRG) alla quale aderiscono anche i sopravvissuti della “Garibaldi” fra i quali l’ottantenne Col.Lando Mannucci” attuale presidente dell’ANVRG.
Emuli, questi “nuovi garibaldini”, delle gesta dei loro antenati che nell’800 combatterono e spesso morirono in difesa della libertà della Spagna, della Grecia, della Polonia, dell’Ungheria, della stessa Serbia e, ripetutamente, della Francia, nel 1870/71 e poi nella prima guerra mondiale, nelle Argonne.
Comandati dal Gen.Oxilia prima, dal Gen.Vivalda poi, infine dal Gen. Ravnich, mantennero le stellette, i regolamenti e gli altri segni distintivi dell’esercito italiano battendosi a fianco dei titini contro il comune nemico nazifascista, ma con esclusione di ogni impegno ideologico o di partito.
Immersi nella bolgia balcanica, in un paese dalla lingua ed abitudini sconosciute, in condizioni disastrose per armamento e sussistenza, in un ambiente naturale difficilissimo ed insidioso, in pieno inverno e dunque in condizioni climatiche estreme, decimati dalle malattie (soprattutto tifo petecchiale) essi seppero dare un valido contributo alla guerra di liberazione della Jugoslavia.
Dovettero infatti combattere, adottando tecniche di guerriglia per essi inusuali, non solo contro i tedeschi che con l’aviazione non davano tregua, ma anche contro i loro alleati e satelliti, gli ”ustascia” di Ante Pavelic (capo del governo fantoccio instaurato in Croazia dall’Italia fascista), e ad una parte di musulmani, bulgari e albanesi a loro fedeli, nonchè contro le bande dei feroci “cetnici”, equivoci sostenitori della dinastia dei Karageorgevich regnante in Jugoslavia prima dell’occupazione tedesca.
Ostili sia ai tedeschi che avevano deposto il loro re, sia a Tito in quanto comunista, dopo ripetuti ondeggiamenti essi finirono per combattere, agli ordini del gen.Mihajlovic, a fianco del tedesco invasore contro l’esercito di liberazione di Tito e, quindi, anche contro la “Garibaldi”, sua alleata.
Lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano al seguito del re a Brindisi, anch’esso in evidenti, comprensibili difficoltà, seguì le sorti di questa superstite divisione italiana, facendo il possibile in suo aiuto: ed in riconoscimento del valore dimostrato conferì alla “Garibaldi” 2166 decorazioni al V.M. fra le quali 5 medaglie d’oro a reparti e 8 alla persona.
Valorosi piloti (fra i quali ricordiamo Lorenzo di Cagno) dell’”88° Raggruppamento bombardamento e trasporti” comandato dall’allora capitano Umberto Scapellato e dei caccia di scorta, aventi base in Puglia, a Galatina, si prodigarono - rischiando la vita ed in alcuni casi perdendola – con i loro “Cant Z 1007/bis” nel lancio di viveri, vestiario, medicamenti, denaro, sfidando la superiorità dell’aviazione tedesca, riuscendo anche ad atterrare con gli S 81 in un piccolo campo di fortuna allestito a Berane dagli uomini della “Garibaldi” per prelevare feriti e malati da riportare in Italia, ed accompagnare uomini del governo italiano del sud incaricati di tenere i collegamenti.
Fra questi, dal 10 al 21 ottobre 1944, il sottosegretario alla guerra Palermo che conferì con le autorità titine e visitò i reparti della divisione.
Gli aiuti, volonterosi – perfino via mare, con il veliero “Oceania” - ma sporadici, non furono purtroppo in grado di alleviare le condizioni in cui i nostri soldati furono costretti a combattere subendo perdite rilevantissime.
Ai primi di marzo 1945, liberato il Montenegro e con i tedeschi in fuga, gli uomini della Garibaldi vennero concentrati a Ragusa (poi Dubrovnik) per essere trasferiti via mare in Italia.
Su di un organico iniziale di circa 20.000 uomini, ne arrivarono 3800: gli altri, morti (3556), dispersi, fatti prigionieri o rimpatriati in precedenza per ferite o malattie.
L’8 marzo s’ imbarcò un primo scaglione diretto a Brindisi, e l’11 un secondo: a render loro omaggio, ed a salutarli, autorità civili e militari jugoslave e Missioni Alleate presenti a Ragusa.
Il Governo Jugoslavo decorò le tre brigate della “Garibaldi” con l’”Ordine per i meriti verso il popolo con la stella d’oro” e con l’“Ordine della fratellanza ed unità con corona d’oro”.
All’arrivo a Brindisi la divisione, inquadrata ed in armi, venne passata in rassegna dalle superiori autorità militari italiane ed alleate, quindi il sottosegretario alla guerra Palermo, il Gen. Oxilia (che fu uno dei suoi comandanti), il Vescovo di Taranto, il Sindaco di Brindisi ed il Colonnello inglese comandante delle forze militari alleate della città espressero la loro ammirazione per il valoroso comportamento e porsero il “bentornati in Italia”.
Poi, dopo aver sfilato per le vie di Brindisi fra l’entusiasmo della popolazione locale la divisione venne concentrata a Taranto.
A seguito di consultazione democratica, la maggioranza dei superstiti della “Garibaldi” decisero di continuare a combattere in Italia per la definitiva sua liberazione e, dopo un’opportuna riorganizzazione, vennero inquadrati nel nuovo “Reggimento Garibaldi” con gli organici di “reggimento di fanteria di gruppo di combattimento” che solo per il sopraggiungere della fine della guerra non raggiunse la zona del fronte che gli era stata assegnata.
Il 21 settembre 1983 a pochi chilometri dalla città di Pljevlja, nel luogo ove 40 anni prima era stata costituita la “Divisione Garibaldi”, il Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini e di quella Jugoslava Mika Spiljak hanno inaugurato, alla presenza di molti reduci garibaldini italiani, un monumento a forma di triangolo che punta verso il cielo, per celebrare l’incontro, suggellato dal sangue, fra il libero popolo dell’Italia ed il libero popolo del Montenegro.
Giovanni Zannini
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