Padova 22-6-2005
Garibaldi non sarebbe divenuto l’eroe del Risorgimento italiano al quale si deve in gran parte l’unità d’Italia se nell’America del Sud, nelle guerre indipendentiste e di secessione ivi in corso nella prima metà dell’800 non avesse partecipato ad una serie di lotte violente, in mare e per terra, condotte spesso con ferocia fra gente che impugnava le armi per il nobile ideale della libertà dei popoli, ma più frequentemente per portare avanti, con il frutto di saccheggi e di violenze, una vita magra e da disperati.
Fra i tanti episodi che costellano la sua vita in Sudamerica altamente drammatico è quello avvenuto mentre si batteva per l’indipendenza dell’Uruguay contro l’Argentina.
Nel 1841, dopo aver combattuto per il Rio Grande do Sul, la provincia del Brasile che, proclamatasi repubblica, lottava contro il potere centrale, Garibaldi si era ritirato a Montevideo ove vivacchiava, con la moglie Anita ed il primo figlio, Menotti, come sensale (ma non aveva la stoffa del commerciante, e gli affari erano magri), e come insegnante di matematica e lingue.
E lì, grazie alla fama di combattente di mare e di terra coraggioso e di grande valore acquisita nella guerra fra Brasile e Rio Grande do Sul, che la stampa, non solo nazionale ma anche internazionale, aveva enfatizzato, viene coinvolto nella “guerra grande”, l’altro conflitto indipendentista che insanguinò il Sudamerica dal 1838 al 1851.
La provincia argentina dell’Uruguay si era proclamata repubblica indipendente sotto la presidenza del generale Fructuoso Rivera ed era entrata in conflitto con la madrepatria argentina guidata dal tirannico dittatore Juan Manuel De Rosas alleato con il fuoruscito Manuel Oribe (o Ourives), un uruguaiano che alla fine di una cruenta guerra civile con Rivera si era rifugiato in Argentina divenendone collaborazionista.
Così Rivera nel 1842 arruola il Nizzardo nella marina militare uruguaiana con il grado di colonnello e per prima cosa gli affida il difficile incarico di organizzare una spedizione in aiuto della provincia argentina del Corrientes a sua volta insorta contro il potere centrale, allo scopo di costituire una forte alleanza fra province indipendentiste.
L’impresa si prospetta subito disperata, ma Garibaldi non esita.
Essa prevedeva di raggiungere il Corrientes risalendo per 1000 chilometri il fiume Paranà - tutto in territorio argentino - avendo per conseguenza il nemico costantemente in agguato sulle due opposte rive.
A ciò si aggiunga la difficoltà della navigazione su fondali infidi ove gli incagli erano frequenti e che imponeva spesso il ricorso al “tonneggio” (la manovra di traino delle navi da terra) e, infine, la disparità delle forze fra le poche navi agli ordini di Garibaldi e l’imponente flotta argentina che si sarebbe posta all’inseguimento.
Come previsto, a caccia delle tre navi ribelli - una corvetta, un brigantino ed un trasporto goletta - si pone l’ammiraglio irlandese William Brown che comanda la flotta argentina e che ha fama di essere, come dicono le cronache dell’epoca, “la prima celebrità marittima dell’America meridionale”.
Per un po’ Garibaldi, favorito dalla sorpresa e da qualche errore del nemico, pur impegnato in una spietata “guerriglia fluviale” in acqua ed a terra, riesce a tenere a distanza le navi inseguitrici fino a che, giunto in località “Costa Brava”, poco oltre la metà del percorso, le sue tre navi si arenano per il fondale insufficiente, ed è costretto ad affrontare l’impari lotta con le navi argentine sopraggiungenti che, munite di potente artiglieria riescono a centrare le navi ribelli i cui cannoni dalla limitata gettata, non riescono invece a raggiungere le navi avversarie.
Allora Garibaldi, resosi conto che la lotta è impari, decide di sbarcare gli equipaggi per proseguire a piedi il cammino verso Corrientes, ma non prima di aver incendiato la sue navi ad evitare che cadano nelle mani del nemico: e qui si verifica l’episodio che resterà angosciosamente impresso per tutta la vita nell’animo di Garibaldi.
Per accelerare e rendere più completa la distruzione delle tre navi, egli ordina di innaffiarle con l’acquavite contenuta in molti barili nelle stive.
E qui accade l’imprevisto: i marinai – ma non solo, anche qualche ufficiale, commenta amareggiato Garibaldi – di fronte a tutto quel ben di Dio, pensano anzitutto a tracannarne quanto più possibile cosicché, alla fine, completamente ebbri, si trovano avvolti dalle fiamme che si levano alte finendo carbonizzati o orribilmente ustionati.
Garibaldi, con l’aiuto di quelli meno brilli degli altri, non esita ad affrontare l’incendio nonostante il rischio incombente dello scoppio delle munizioni.
Ne estrae quanti più gli è possibile, trascinandoli a spalla fuori delle stive: ed ha appena il tempo di allontanarsi che lo scoppio delle santabarbara completa la carneficina facendo saltare in aria con il legno delle navi i marinai inebetiti dall’alcool, che neppure si accorgono che stanno andando al Creatore.
Facendosi largo, faticosamente, a piedi, fra il nemico che cerca di interrompere la sua marcia, Garibaldi raggiunge finalmente Corrientes ove, invece di gratitudine, raccoglie qualche dispiacere e riceve l’ordine di rientrare per altra via in Uruguay per raggiungere il grosso dell’esercito del presidente Rivera che ahimè, nel frattempo, il 6 dicembre 1842 era stato duramente sconfitto nella battaglia dell’”Arrojo Grande”, nella provincia dell’Entre Rios, dal suo grande rivale, il traditore Oribe.
A Garibaldi non resta che ripiegare con i pochi marinai superstiti, assieme ai resti di quello che era stato l’esercito uruguaiano, verso la capitale Montevideo che resisterà dal 1843 al 1851 all’assedio di Oribe.
Il Nizzardo (che nel frattempo aveva aumentato la famiglia con l’arrivo di Rosita, morta purtroppo all’età di due anni, Teresita e Ricciotti) fu l’anima di questa difesa attaccando sul mare antistante Montevideo le navi argentine, e per terra, alla testa della “Legione Italiana”, con sortite (fra cui, l’8 febbraio 1846, la vittoriosa battaglia presso il fiume S.Antonio) miranti ad indebolire gli assedianti.
Ma intanto la storia corre e nel 1848, alla notizia tanto attesa dello scoppio della guerra fra il Piemonte e l’Austria, il 15 aprile Garibaldi salpato da Montevideo con una sessantina di patrioti suoi amici con il brigantino “Speranza”, sbarca il 23 giugno 1848 a Nizza raggiungendo quindi il re Carlo Alberto nel suo quartier generale a Roverbella per mettersi ai suoi ordini.
Da lì Garibaldi inizia la marcia travolgente che porterà all’unità d’Italia, con quelle battaglie che non sarebbero state vittoriose se egli non avesse vissuto in Sud America il suo “apprendistato militare”, una dura “scuola di guerra” che tra molti successi, ma anche fra non poche sconfitte - che una facile agiografia tende spesso ad ignorare - ne fece uno dei più grandi condottieri di tutti tempi di truppe volontarie irregolari spesso raccogliticce ed indisciplinate, che grazie all’esperienza sudamericana seppe trasformare in combattenti valorosi e spesso invincibili.
Giovanni Zannini
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