domenica 24 giugno 2018

CONTRO L'INVASIONE DEI MIGRANTI

Mi stupisce che per fermare il disordinato afflusso di migranti in Italia, nessuno, per quanto io sappia, neppure il neo ministro dell'interno Matteo Salvini, abbia pensato alla possibilità di distruggere, a terra, le imbarcazioni che la criminale organizzazione dei trafficanti di uomini utilizza per il trasbordo dalle coste dell'Africa a quelle italiane.
Sia ben chiaro, a scanso di equivoci, che non auspico certamente l'affondamento di quei natanti allorchè navigano con il loro triste carico: non ci penso nemmeno.
Allorchè ci si trova di fronte, in mare aperto, ad imbarcazioni cariche di gente in pericolo,
è dovere trarli in salvo: ma poi, effettuato il salvataggio, fino all'ultimo uomo, sarebbe opportuno (e non so se ciò avvenga) provvedere alla distruzione delle imbarcazioni ad evitare un loro possibile riutilizzo criminale.
Ma allora, perchè non farlo quando questi natanti sono ancora, vuoti, a terra, sulle spiagge
africane?
I luoghi d' imbarco non sfuggono certamente alla polizia, e se il governo libico vuole veramente collaborare con l'Italia (e pare sia così, tenuto conto degli interventi, talora anche troppo rigorosi, delle motovedette da noi fornite alla Libia) non dovrebbe essergli difficile provvedere al sequestro o, addirittura, alla distruzione, sulla spiaggia, di quel naviglio. A tal fine, si potrebbe, occorrendo, pensare alla collaborazione dei libici con corpi speciali italiani che, addestrati a compiti ben più impegnativi, potrebbero facilmente mettere fuori uso l'intera flotta dei criminali eliminando così alla base, radicalmente, il problema che, da troppo tempo, affligge il nostro paese.
Fermo restando, però, che esso va affrontato dall'intera comunità internazionale in maniera ordinata e con quello spirito di solidarietà più volte invocato dal nostro grande Papa Francesco.

Padova 7-6-2018 Giovanni Zannini

SGARBI E LE CAPRE


E' innegabile che il sig. Sgarbi sia un innovatore, anche in materia di insulti.
Per le donne, un tempo, il massimo degli insulti era p......, tr..., e vacca, mentre oggi, per merito suo, si è affacciato un nuovo insulto per donna: capra, e fa discutere il perchè di tale importante innovazione.
L'interpretazione più accreditata è che egli si voglia proteggere dalle querele delle donne con le quali polemizza spesso, come suo costume, piuttosto vivacemente.
Qualora, infatti, si rivolgesse a loro usando, ad esempio, la parola che qualifica la regina del settore lattiero-caseario, sarebbe facile alla persona cui la parola è stata indirizzata, portarlo in tribunale e,
(poichè si fa riferimento ad un animale al quale, a torto o ragione, il mondo attribuisce scarse virtù morali), farlo condannare.
Se invece una si sente dare della capra, non potrà dolersi di essere stata insultata, e quindi far punire l'offensore, perchè, almeno fino ad oggi, nessuno ha potuto sollevare riserve sul comportamento morale e sui costumi delle capre.
Ma vi è il rischio che il sig. Sgarbi, dopo aver dato della capra ad una sua interlocutrice, si possa sentir dare, per tutta risposta, del caprone.

Padova 21-6-2018 Giovanni Zannini

domenica 17 giugno 2018

CAPOLAVORO O PORCILAIA?


Sia ben chiaro: non ce l'ho con gli italiani accorsi entusiasti, sventolando la bandiera della libertà con lo stesso entusiasmo con cui Garibaldi teneva alta la sciabola sul Gianicolo, per assistere alla proiezione di “Ultimo tango a Parigi” restaurato, dopo che diversi anni fa era stato ritirato dalle scene a seguito di una sentenza della Cassazione che l'aveva definito uno “spettacolo di pansessualismo fine a sé stesso”.
Perchè, quando ti mettono sotto il naso un piatto invitante, condito con spezie piccanti, anche se è un po' indigesto, la voglia di assaggiarne un boccone ti viene.
Me la prendo invece con quei cinematografari, con quei giornalisti, con quei cosiddetti intellettuali che insistono, pur dopo quanto le cronache hanno rivelato, a considerare capolavoro quel film che è stato viceversa solo un'abile operazione di affarismo commerciale. Quegli stessi che si sono esibiti in lodi sperticate dei film della Bardot quando lei stessa ha riconosciuto che uno solo dei numerosi films erotici da lei interpretati ed elogiati da una critica servile e compiacente, vale un riconoscimento artistico.
Essi dimenticano che Indro Montanelli, non certo sospetto di eccessivo moralismo, affermava che “non merita la libertà chi ne fa un uso indegno...” e che non è libertà quella “spinta fino alla licenza, all'indecenza ed all'oltraggio al pudore” concludendo che “in fondo a questa strada non c'è la libertà, ma la sua morte e la fine”.
Come pure che il presunto capolavoro, candidato all'Oscar, ebbe, da quelli che di cinema un po' se ne intendono, una solenne bocciatura.
E ancora: essi non ricordano, o fingono di ignorare, che Marlon Brando scrive nella sua biografia: “ho sempre pensato che fosse un film eccessivo, ancor oggi non so dire dove stia il succo” smentendo clamorosamente gli illustri cinematografari che in esso scoprono il capolavoro, mentre è solo il simbolo del più spregevole e vieto sfruttamento del richiamo sessuale ad uso di meri interessi commerciali.
Per tacere del torbido retroscena, al limite del codice penale, che si agita dietro la lavorazione del film, descritto dalla sua principale interprete, l'allora diciannovenne Maria Schnaider (che a fronte di incassi milionari ebbe un compenso di soli 5.000 dollari e che poi trascinò una vita disperata): “Mi hanno quasi violentata. Quella scena (che descrive una sodomizzazione – ndr) non era prevista dalla sceneggiatura. Io mi sono rifiutata, mi sono arrabbiata. Ma poi non ho potuto dire di no...all'epoca ero troppo giovane...così fui costretta a sottopormi a quella che ritengo essere stata una vera violenza. Le lacrime che si vedono nel film sono vere. Sono lacrime di umiliazione”.
E il regista Bertolucci? ”Si, sono stato colpevole con la Schneider ma non potranno portarmi in tribunale per questo”. E solo dopo la sua morte ammise che avrebbe voluto “chiederle scusa”.
Troppo tardi, sig. Bertolucci!.

Padova 4 giugno 2018. Giovanni Zannini

giovedì 7 giugno 2018

TRAGICO TANGO


Suvvia, non si dice un sorriso, ma almeno un piccolo incresparsi delle labbra, un accenno meno cupo dello sguardo, una movenza gentile, non meccanica, del corpo.
Invece no, il ”tanguero” e la “tanguera” (si dice così?) si agitano ingrugnati in una maratona di passi, passetti e passettini, nello scodinzolare delle caviglie di lei e nell’incedere complicato di lui, tesi, assorti in quello da essi ritenuto, ma non è, un rito drammatico, e solenne.
Ma cosa pensano, i “tangueros”? Oppure non pensano a nulla? Certo, non si divertono, anzi, si direbbe, dalle loro facce, che siano profondamente scocciati e che non vedano l’ora di guadagnarsi un po’ di pace e di tranquillità con il cessare del frastuono del ”bandaneon”.
E allora, perché? Forse, proprio per non pensare a nulla, tutti presi dalla perfezione del passo e dalle complicate mossette del capo e degli arti e dal perenne ondeggiare del bacino, di lei, e dall’esibizione muscolare di lui che prima scaccia la compagna e poi la riafferra avviticchiandosi a lei, dimentichi della vita grama del presente e di quella altrettanto grama dell'indomani.
E’ la speranza che manca ai “tangueros”, che trasforma la danza in un mortorio dominato dal ritmo di toni bassi, ossessivi, che li schiacciano su quella terra dalla quale vorrebbero, ma non possono, evadere.

Padova 7-6-2018 Giovanni Zannini