Chi proveniente dal centro di Padova diretto verso
Pontecorvo percorre il portico della chiesa di S.Francesco, giunto alla sua
fine alzi lo sguardo lungo la parete sovrastante che è quella del convento dei
frati francescani: vedrà una piccola finestra circolare oggi chiusa da
un’inferriata. Quindi alzi gli occhi sulla parete opposta, quella di Palazzo
Giusti (che si trova al civico 89 B) e vedrà una finestra che, proprio di
fronte, è in corrispondenza della suddetta finestrella.
Queste due aperture
sono state testimoni di una drammatica vicenda legata alla resistenza
padovana contro i nazifascisti negli anni 1943/1945.
Nel Palazzo Giusti, infatti, ebbe sede la “Banda
Carità” (che rivaleggiò, in crudeltà,
con la “Banda Koch” del criminale Pietro Koch) comandata dal famigerato
magg. Mario Carità il quale alla fine del 1943 aveva costituito a Firenze un reparto speciale di polizia della neonata Repubblica Sociale
Italiana con funzioni anti-resistenziali.
Giunto a Padova all’inizio del novembre 1944 dopo
la conquista di Firenze da parte degli anglo americani, s’installò a Palazzo Giusti come “Befehlshaber der Sicherheitspolizei u. des S.D. in Italien
– Italienische Sonderabteilung” (Comandante Supremo la Pubblica Sicurezza e Servizio Segreto in
Italia – Reparto Speciale Italiano ) firmandosi
“SS. Sturmbannfhurer” (Maggiore Comandante delle SS): come si vede, un’equivoca
commistione fra Pubblica Sicurezza della RSI e SS. Tedesche, mentre manca ogni
riferimento alle SS. Italiane” delle quali, secondo alcuni, sarebbe stato a
capo.
Quarantenne allorchè giunse a Padova era
considerato da don Ugo Orso della Curia
di Padova che ebbe modo di
conoscerlo, uomo intelligente ed
energico ma che mise queste qualità al
servizio della violenza.
Don Orso, infatti, era stato introdotto a Palazzo
Giusti da padre Cornelio Biondi dei frati benedettini di S.Giustina che, nella
sua veste (autorizzatone dal Vescovo Agostini) di Cappellano Militare delle
Brigate Nere, faceva il doppio gioco. Don Orso potè così utilizzare, grazie
all’interessamento del Biondi, una vettura delle BN per tenere i collegamenti
con vari esponenti della resistenza veneta fornendo loro preziose
informazioni (tra le quali,
ricordiamolo, l’imminenza del rastrellamento nazifascista sul monte Grappa,
notizia della quale, purtroppo, non tennero conto i comandi partigiani).
La banda era costituita da una cinquantina (v.
“Ritorno a Palazzo Giusti – Testimonianze dei prigionieri di Carità a Padova – 1944/1945-“ di Taina
Dogo Baricolo), ma altri dicono una novantina, di fascisti ambiziosi e crudeli
sospettosi l’uno dell’altro, affaristi senza scrupoli , che tiravano a campare
giorno dopo giorno, senza prospettive per il futuro salvo la fiducia nelle
“armi nuove” di Hitler, ma innegabilmente assai pericolosi ed astuti, tant’è
vero che, come riferisce il sovracitato don Orso, “poco tempo dopo che erano
arrivati a Padova avevano già in mano le fila
del movimento clandestino ed in
24 ore distrussero tutto il CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) regionale e
provinciale.”.
Infatti, a seguito della tragica retata di domenica
7 gennaio 1944, nella clinica oculistica del prof.Luigi Palmieri ove si erano
rifugiati, furono arrestati il prof.Luigi Meneghetti , capo del CLN del Veneto, ed altri importanti dirigenti del movimento
partigiano.
Nelle prigioni di Palazzo Giusti - denominato dai detenuti “La Nave” per la
disposizione a castello dei tavolacci nelle piccole celle senz’aria ricavate
dalle vecchie scuderie – passarono quindi molti esponenti della resistenza
padovana spesso sottoposti a pesanti interrogatori ed anche a torture per
estorcerne segreti.
E le due finestre, quella del convento e dall’altra
parte quella di Palazzo Giusti, divennero un canale di comunicazioni fra i
partigiani prigionieri e quelli liberi rifugiati nel convento dei cappuccini
(ove il priore padre Mariano Girotto, correndo gravi rischi, li accoglieva con
grande generosità) che costituì la speranza per i reclusi costretti
all’isolamento e diede loro il conforto di non essere abbandonati dai compagni
di lotta. Approfittando infatti dei momenti in cui la sorveglianza dei
carcerieri, nelle ore dei pasti, era più attenuata, padre Mariano comunicava
con i prigionieri mediante cartelloni
sui quali erano scritte le lettere alfabetiche, mentre dall’altra parte
si rispondeva con l’alfabeto muto o lanciando sassi o altri oggetti con “allegati”
messaggi di ogni genere. Con essi, ad esempio, i prigionieri fornirono
informazioni sull’intenzione dei fascisti di arrestare persone che poterono
così mettersi in salvo, e comunicarono che a palazzo Giusti si praticavano
sevizie, cosicchè il Vescovo Agostini potè intervenire presso il Carità facendo
pressioni affinchè cessasse tanta efferata violenza.
Per la verità, l’invito a por fine a certi eccessi
era stato fatto al Carità anche da Mussolini ma l’altro, insolentemente,
risposte che il duce era andato al potere proprio grazie alla violenza.
Molti furono i progetti per liberare i prigionieri,
ma tutti, purtroppo, senza esito.
A cominciare da quello del tipografo Giovanni
Zanocco, coraggioso autore di una famosa beffa, la stampa della prima
traduzione del libro “Confidenze di Hitler” di Hermann Rauschning -
rivoluzionario tedesco che dopo una breve adesione al nazismo se ne distaccò
clamorosamente – clandestinizzato con la sovracopertina de “Le avventure di
Pinocchio”.
Esso prevedeva di gettare una passerella fra le due
aperture per rendere possibile la fuga dei prigionieri: ma essendo evidentemente
fantastico ed irrealizzabile, fu tosto abbandonato.
Fu anche studiato il progetto di un assalto dei
partigiani al palazzo in collaborazione con
la RAF inglese che con un mitragliamento avrebbe dovuto creare confusione.
L’operazione venne affidata alla brigata “Pierobon” che il 10 aprile 1945 si
portò in città con 40 uomini muniti di
esplosivo per far saltare il portone posteriore di Palazzo Giusti e favorire
l’evasione: ma la RAF mancò all’appuntamento con il conseguente fallimento del piano.
La criminale
attività della banda proseguì senza sosta
fino ai giorni dell’insurrezione
allorchè il 27 aprile venne raggiunto un accordo fra gli insorti e Giovanni
Gastaldelli (il vice di Carità che aveva assunto il comando dopo che il capo
aveva tagliato la corda con 1.400.000 lire in tasca oltre a preziosi di grande
valore) in base al quale i prigionieri sarebbero stati liberati a condizione
che fossero forniti ai componenti la banda i mezzi per lasciare Padova ed un
salvacondotto per essi firmato dal CLN, ciò che avvenne.
Don Orso, che aveva partecipato alle trattative ed
era stato trattenuto cautelativamente in arresto nel palazzo, dopo l’allontanamento
della banda ricevette in consegna parte dei valori da essa rapinati e consegnò
tutte le sue armi al dott.Bidoli, nuovo sindaco di Padova, che le distribuì ai
partigiani. Dopo di ciò fu l’ultimo ad uscire dal triste palazzo chiudendo
dietro di sé il portone.
E il Carità finì, come era prevedibile, male.
Fuggito con la sua amante e le due figlie Franca
(venti anni) e Isa (di 19) che avevano con lui vissuto testimoni di tanta
crudeltà, si rifugiò in alto Adige a Siusi. Ma la donna, che aveva trovato il
tempo di innamorarsi di un ufficiale americano, gli aveva rivelato il
nascondiglio cosicchè la polizia
americana lo sorprese nella stanza in cui si trovava con lei. Resosi conto del
tradimento, l’uomo afferrò la pistola che teneva a portata di mano per uccidere
la fedifraga ma ne fu impedito da una scarica che lo fulminò.
Vi sono diverse varianti secondo le quali vi
sarebbe stato un conflitto a fuoco durante il quale due americani sarebbero
morti e l’amante infedele ferita: ma la sostanza non varia.
Si chiuse così l’avventura di un uomo che durante
l’effimera vita della mussoliniana Repubblica Sociale Italiana sparse a Padova
terrore e lutti.
E accanto alla porta d’ingressso di Palazzo Giusti,
testimone di tante crudeltà, resta una targa dinanzi alla quale gli uomini
dimentichi transitano distratti, con incisa la poesia scritta da chi ben conobbe
quella triste dimora, Egidio Meneghetti, che così recita:
“ Nave tu porti un carico
d’intemerata fede,
gente che spera e crede
nel sol di libertà.
Vai verso
la vittoria
carica di catene,
navighi fra le pene
verso la libertà.
Le
scariche e gli schiaffi,
i pugni e gli staffili
non ci faran mai vili:
viva la libertà.
Sorge la nuova Europa
in mezzo a tanti mali
e un popolo d’eguali
nasce alla libertà.
I baci e le carezze,
le false cortesie
non ci faran mai spie,
gentile Carità “
Giovanni Zannini
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