Fu il ventennio fascista l’epoca in cui la divisa ebbe la sua gloria:
tutti ne ebbero una. Gli impuberi quella
di Figlio della Lupa poi via via, l’uomo in divenire indossava quella del
Balilla (il Moschettiere era il più
pregiato, per via dei guantoni alla Aramis,
mentre i Tamburini erano guardati con rispetto perché tenevano alto il
prestigio musicale italiano), dell’Avanguardista, del Giovane
Fascista e del “premilitare “
prima di approdare a quella grigioverde del soldato , mentre l’orbace si manifestò prezioso per la manifattura sarda oltre che per ammortizzare la pancetta di qualche gerarca non proprio
longilineo.
Senza dimenticare, ovviamente, l’”escalation” delle donne che si sviluppava
dalle Piccole Italiane (confesso che non ricordo se pur esse partissero da Figlie della Lupa) e Giovani
Italiane per approdare, alla fine, alla categoria delle Donne Fasciste
con una vasta gamma di specialiste quali
le “Massaie Rurali” et similia.
E l’Oscar della divisa, in tempo fascista, sarebbe senza dubbio
alcuno spettato a Giuseppe Starace famoso, oltre che per il suo perentorio invito al “Saluto al Duce”, per il suo sbizzarrirsi in
divise “fuori ordinanza” degne della
fantasia del miglior creatore di mode.
Confessiamolo: ad indossare la divisa nel Sabato Fascista o nei cortei,
e poi, durante la ferma obbligatoria, quella di fante, marinaio o aviere, specie se si apparteneva alla categoria
scelta degli Ufficiali,un certo gusto lo si provava.
Ma oggi le cose sono cambiate: con la fine del fascismo e poi, con
quella della coscrizione obbligatoria, le occasioni d’indossare una divisa sono
assai diminuite.
E allora?
Per ovviare a questa crisi per i più giovani ci sono i Boy Scout (anche
i comunisti ci provarono con i Pionieri, ma non pare abbiano avuto molta fortuna ), mentre per gli adulti desiderosi
di rendere evidenti le proprie qualità
ed appartenenze esistono fortunatamente per loro molte
possibilità.
Ed ecco le fiammanti, policrome
e riflettenti divise della Protezione Civile,
quelle delle associazioni di
volontariato per l’assistenza umanitaria (le varie Croci Rosse, Bianche o Verdi), le
confraternite religiose fra le quali, a Padova, spiccano i mantelli azzurri
indossati con molta fierezza dalla
Confraternita dei Macellai, e
quelli candidi dei Cavalieri di Malta;
le divise gallonate dei piloti delle società di trasporto aereo e, accanto a loro, quelle leggiadre delle
assistenti di volo.
Chi non ha titolo per indossare divise importanti, ne crea di nuove ed
originali come i vari circoli sportivi, ed ecco
plotoni di ciclisti sfrecciare sulle nostre strade indossando
regolamentari magliette, calzoncini e
copricapi tutti rigorosamente eguali e
controllati con cura alla partenza, gruppi
di podisti recanti sulle loro sudate canotte il nome della loro, motociclisti
coperti di cuoio sul quale appaiono simbologie
talora bizzarre ma rigorosamente eguali, per non parlare delle più elitarie casacche indossate da dame e “gentlemen”
dei circoli ippici dei quali ostentano il nome ed il logo,
o degli innumeri cori che popolano
l’Italia e che affidano
l’armonia delle loro voci anche a
fazzolettoni, camiciotti o maglioni tutti eguali, per gli uomini, o a bluse,
corpetti e, assai spesso, abiti lunghi, tutti seriali, per le donne.
Certo, è passata l’epoca (salvo qualche reperto d’antiquariato che resiste tuttora) delle divise
scintillanti dei militari, dei loro
imponenti copricapi, delle spalline dorate o dei galloni che ornavano i loro avambracci, del blu austero o del bianco immacolato
delle loro casacche, o del rosso fiammante delle loro brache.
Per fortuna, al giorno d’oggi, per
affermare la propria identità, basta talora all’uomo la più pacifica scritta apposta sul berrettino per indicare l’appartenenza al “Circolo Bocciofilo
Rionale”, alla squadra di calcetto o al
Club degli “Amici del Baccalà”.
Giovanni
Zannini
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