Si ritiene normalmente che Mussolini, dopo la drammatica seduta del
25 luglio 1943 e le dimissioni, il successivo giorno 26, nelle mani del re, sia stato prigioniero, nel senso comune della
parola, del nuovo governo Badoglio e
sottoposto a regime carcerario: ma, stando a quanto scritto dallo stesso
Mussolini nelle sue memorie, non fu affatto così.
Quanto avvenuto dall’ottobre 1942 al settembre 1943
è infatti rievocato in una serie di
articoli apparsi sul Corriere della Sera in 19 puntate non consecutive dal
n.151 del 24 giugno 1944 al n.171 del 18
luglio dello stesso anno, nei quali un autore anonimo racconta le vicende
storiche di quel periodo e quanto accaduto in tal periodo all’ex duce. Solo nell’ultima
puntata si rivela che autore ne è lo
stesso Mussolini, e la serie di articoli viene raccolta in un opuscolo
intitolato “Il tempo del bastone e della carota” pubblicato il 9 agosto 1944
come supplemento al n.190 del Corriere.
Da esso
risulta che il passaggio dal governo Mussolini al Governo Badoglio realizzato
dal re in base ai poteri derivantigli dallo
Statuto - che sopravvisse durante tutto
il ventennio - avvenne in maniera corretta dal punto di vista costituzionale.
Nessun arresto, dunque: la famosa ambulanza sulla
quale egli venne caricato all’uscita dal colloquio con il re, fin qui considerata dai più simbolo di
tradimento e di inganno, viene invece, per così dire, assolta dallo stesso ex duce, che la considera
una “attenzione”del re per proteggerlo
da una reazione popolare che avrebbe
potuto porre in pericolo la sua vita.
E nessuna protesta da
parte di Mussolini: anzi!.
I messaggi, più sotto riportati, fra
l’ex Presidente del Consiglio Mussolini dopo la sua destituzione, ed il nuovo
Presidente del Consiglio Badoglio furono corretti per non dire cerimoniosi: addirittura,
l’ex duce ringrazia Badoglio per le attenzioni ricevute, lo assicura che non gli creerà alcuna
difficoltà, gli offre la sua
collaborazione e conferma la sua fedeltà
al re.
Infatti l’ex duce nel libro citato racconta che il 26 luglio, alle ore una (ma avrebbe
dovuto scrivere “27 luglio alle ore una” – ndr) mentre si trovava nella caserma
della Scuola allievi carabinieri di Roma
nella quale era stato scaricato dalla nota ambulanza, ricevette da Badoglio un messaggio
indirizzato “al Cavaliere Sig. Benito Mussolini” del seguente tenore: ”Eccellenza
il Cavaliere Benito Mussolini. Il sottoscritto Capo del Governo tiene a far
sapere a V.E. che quanto è stato eseguito nei
Vostri riguardi è unicamente dovuto al Vostro personale interesse essendo
giunte da più parti precise segnalazioni
di un serio complotto contro la Vostra
Persona. Spiacente di questo, tende a farVi sapere che è pronto a dare ordini per il
Vs. sicuro accompagnamento, con i dovuti riguardi, nella località che vorrete
indicare. Il Capo del Governo : Maresciallo d’Italia Badoglio”.
Ed ecco la risposta : “26 luglio 1943 – ore una (ma
vedasi la nota più sopra). 1° - desidero ringraziare il Maresciallo
d’Italia Badoglio per le attenzioni che ha voluto riservare alla mia persona. 2° - Unica residenza di cui posso disporre è
la Rocca delle Caminate dove sono disposto a trasferirmi in qualsiasi momento.
3° -
Desidero assicurare il Maresciallo Badoglio anche in ricordo del lavoro in comune
svolto in altri tempi che da parte mia
non solo non gli verranno create difficoltà di sorta, ma sarà data ogni
possibile collaborazione. 4° - Sono contento della decisione presa di
continuare la guerra con gli alleati così come l’onore e gli interessi della
patria in questo momento esigono e faccio voti che il successo coroni il grave
compito al quale il Maresciallo Badoglio
si accinge in nome e per conto di S.M. il Re del quale durante 21 anni sono stato leale servitore e tale rimango.
Viva l’Italia!”.
Certo stupisce che Mussolini dichiari
di essere disposto a collaborare con Badoglio, perché analoga offerta di collaborazione rilasciata da Achille
Starace allo stesso Badoglio fu poi
giudicata dai repubblichini della Repubblica
Sociale Italiana così grave, da metterlo al bando del nuovo regime facendolo
decadere da ogni onore, e riducendolo in miseria fino a che venne poi fucilato
dai partigiani a Piazzale Loreto il 29 aprile 1943 sotto i cadaveri appesi di
Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi.
Ma torniamo ai successivi trasferimenti per mare che
Mussolini non considerò inizialmente la traduzione di un detenuto, sibbene precauzioni
atte a salvaguardare la sua incolumità personale. Fu lui stesso,
infatti, a coniare la singolare definizione dello stato giuridico in cui si trovava:” Ex capo
del governo in stato di arresto protettivo contro la furia popolare”.
Sta di fatto che dopo aver lasciato la caserma degli allievi
carabinieri, invece che alla Rocca delle Caminate come da lui desiderato, evidentemente
ritenuta non sufficientemente sicura, l’ex
duce fu imbarcato a Gaeta sulla corvetta
“Persefone” con la quale l’ammiraglio Maugeri, privo di ordini sul da farsi, vagolò per mezzo
mar Tirreno in cerca di un luogo sicuro ove custodirlo.
Ventotene, Ponza, La Maddalena furono le tappe del
pellegrinaggio prima di arrivare alla meta che alla fine i suoi custodi avevano
individuato: il Gran Sasso d’Italia evidentemente ritenuto inattaccabile e di
massima sicurezza.
Durante tali spostamenti fu consentito a Mussolini
di mantenere contatti non solo con la moglie
Rachele che gli fece pervenire un pacco di indumenti e qualche libro, ma
anche con personalità civili e militari, non solo italiane, ma anche tedesche
che da (tuttora) alleati gli
manifestarono la loro solidarietà.
A Ponza, ove Mussolini il giorno 29 luglio 1943 aveva compiuto 60 anni, gli fu consegnato il
seguente telegramma di Hermann Goering: “ Duce, mia moglie ed io vi mandiamo in
questo giorno i nostri più fervidi auguri.
Se le circostanze mi hanno impedito di venire a
Roma come mi proponevo per offrirvi insieme coi miei voti augurali un busto di
Federico il Grande, più cordiali ancora sono i sentimenti della mia piena
solidarietà e fraterna amicizia che vi esprimo in questo giorno. La vostra
opera di uomo di Stato rimane nella storia dei nostri due popoli i quali sono
destinati a marciare verso un comune destino. Desidero dirvi che i nostri
pensieri vi seguono costantemente.
Voglio ringraziarvi per l’ospitalità gentile che mi offriste altra volta e
mi proclamo ancora una volta, con
incrollabile fede, Vostro Goering.”.
Nella medesima occasione gli fu fatto pervenire “il dono del Fuhrer,
una mirabile edizione completa delle
opere di Nietzsche in 24 volumi con una dedica autografa. Una vera meraviglia
dell’editoria tedesca. Il dono era
accompagnato da una lettera del
Maresciallo Kesselring che diceva:”Duce, per incarico del Fuhrer vi rimetto,
mediante la benevola intercessione di
S.E. il Maresciallo d’Italia
Badoglio, il regalo del Fuhrer per il
Vostro compleanno. Il Fuhrer si stimerà felice se questa grande opera della
letteratura tedesca vi recherà, Duce, un po’ di gioia e se voi vorrete
considerarla come espressione del personale attaccamento del Fuhrer. Aggiungo i
miei personali ossequi. Feldmaresciallo Kesserling. Quartier generale 7 agosto 1943”.
Ma a Ponza si verificò pure una singolare coincidenza: la
contemporanea presenza di Benito
Mussolini in stato di “arresto protettivo” , e di Pietro Nenni, antifascista
“confinato” nell’isola proprio dal primo allorchè era al potere. In proposito, Paolo Franchi nel suo articolo “” “Avanti”, un secolo fra
Mussolini e Nenni ”” sul Corriere della Sera del 28-9-2012, riporta il dubbio
di Nenni che il suo invio al “confino”
sia stato voluto proprio dall’ex duce – e questo gli fa onore - per salvargli la vita, sottraendolo alla Gestapo che
avrebbe voluto ucciderlo, memore che i
due, repubblicano l’uno, socialista rivoluzionario l’altro, avevano nel 1911
condiviso la galera.
Non vi fu incontro fra i due, ma Franchi ritiene che
Nenni abbia visto con il binocolo il vecchio compagno - che come lui era stato direttore dell’ ”Avanti” - divenuto
poi duce del fascismo.
Intanto la situazione era precipitata: il mattino
del 9 settembre 1944 il re aveva lasciato Roma con il suo seguito per raggiungere
Brindisi, in Puglia, in quel momento territorio italiano libero sia da alleati
che da tedeschi, ed aveva in tal modo assicurato la continuità
dello Stato italiano.
Ma pur riconoscendo che non di “fuga” si sia
trattato, occorre però riconoscere che
l’allontanamento del re da Roma avvenne in maniera disordinata e
avventuristica, senza un piano preciso che avrebbe dovuto essere
accuratamente preparato in tempo cosicchè la confusione fu massima ed il
collasso delle strutture civili e militari
inevitabile.
Fra i tanti errori e le tante omissioni commesse
dalla Corona e dal suo governo in quella drammatica circostanza, l’essersi
“dimenticati” di Mussolini che,
in base alle clausole dell’armistizio, doveva essere consegnato agli
Alleati, appare, come sottolineato anche dallo storico inglese Denis Mack
Smith, grave ed imperdonabile. Anche se non sarebbe
stato semplice trascinarsi dietro Mussolini nel drammatico trasferimento: ma anche quel problema, assieme ai molti altri
gravi e difficili di fronte ai quali si trovarono il re e Badoglio, avrebbe
dovuto essere previsto, affrontato ed adeguatamente risolto.
Certo, la situazione venutasi a creare tra Italia e
Germania, tuttora alleati, fu paradossale.
Da una parte l’una, con il pretesto di proteggerlo, non si voleva far scappare
Mussolini anche se non si comprende cosa ne volesse fare. Forse giudicarlo, non si sa dove e quando o, più probabilmente,
per poterlo consegnare agli Alleati che
prevedibilmente l’avrebbero preteso, come poi avvenne nella realtà con l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Dall’altra i nazisti a caccia di Mussolini per liberare un alleato fedele, amico personale di Hitler, ma
soprattutto, si ritiene, per poterlo utilizzare nel modo migliore nel loro
interesse in vista di quanto sarebbe poi
accaduto, e che accadde (l’armistizio), le cui trattative erano certamente note ai servizi segreti nazisti.
Insomma, due alleati che si contendono la stessa preda per scopi
diametralmente opposti.
Sta di fatto che nei giorni 9,10, 11 e metà 12
settembre 1943 i custodi di Mussolini, depositari, senza ordini, di un così
ingombrante fardello, si trovarono in un comprensibile, drammatico imbarazzo dal quale, fortunatamente per loro, li sollevò un angelone piovuto dal cielo sulle cui ali
campeggiava la svastica e che aveva la
grinta del colonnello delle SS Otto Skorzeni.
Giovanni Zannini
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