martedì 30 ottobre 2012

PROFESSIONE "TESTIMONIAL"


                                                                                                    
RACCONTO                               

“E’ inutile far prediche ai ragazzi – pensava l’ottimo prof.Claudio Lacognata, Preside dell’Istituto Tecnico “Ennio Fermo” - quelli vogliono fatti, e non parole,  la realtà  la vogliono vedere in faccia, toccarla, e non  sentirne parlare : solo allora si convincono, e così la lezione  ottiene il risultato desiderato dall’educatore.  Non dunque, raccomandare di non drogarsi, ma far loro vedere come si riducono quelli che la usano; non dirgli di non correre troppo  col motorino, ma metterli di fronte a loro coetanei   finiti in carrozzina, e così via”.  Ma gli ostacoli per realizzare tale tipo di didattica, si rammaricava, sono molti: anzitutto la “privacy”, per cui, soprattutto se minore,  non si può mostrare un minore drogato o che completamente sbronzo ha tentato di violentare la sua ragazza; e poi la naturale (e comprensibile) ritrosia della gente che ha avuto i  guai suoi a mostrare  in pubblico   moncherini  o  facce  sfigurate. Che fare, allora?
 Una sera, assistendo ad uno spettacolo di beneficenza, il prof.Lacognata fu colpito dalla straordinaria capacità di un giovane imitatore di trasformarsi nei  personaggi  più svariati e pure di assumere sembianze femminili così convincenti  che, se non lo avesse saputo, a qualcuno sarebbe venuta la voglia di dargli un pizzicotto sul fondo schiena.
Alla fine dello spettacolo  il professore  avvicinò il giovane Totò  Salvalommo, diciottenne napoletano disoccupato,  per complimentarsi con lui, e quello  non si lasciò scappare l’occasione di chiedergli  se non avesse qualche lavoretto da fargli fare  per  raggranellare quattro soldi.
 A questo punto il fine cervello  del prof.Lacognata s’illuminò.
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Preoccupato per il ripetersi di cadute in motorino con  gravi  conseguenze per i suoi alunni,   il Preside  li riunì un giorno  in Aula Magna sul cui palcoscenico apparve un ragazzo senza un braccio, privo di un piede, una benda alla Daian per coprire l’orbita priva dell’occhio destro,  il volto sfregiato  da un’ orribile  cicatrice, che si trascinava penosamente su di una carrozzina.
Il ragazzo, con voce lamentosa, dopo aver raccontato di esser divenuto  un rudere umano  a causa di una sbandata in curva con il motorino per eccesso di velocità e successiva rovinosa  caduta,  concluse raccomandando a tutti la massima prudenza per evitare di ridursi come lui.
Impressionati  da quello  spettacolo  angoscioso, gli alunni del “Fermo”  accolsero la raccomandazione  e da quel giorno non si verificarono più fra essi rovinose cadute in motorino.
E  allorchè apprese che un’alunna del suo istituto era scampata ad un bruto desideroso di goderne le forme  appetitose anche se , per la verità,  un po’ troppo  generosamente esibite, il prof.Lacognata decise di applicare anche in quel caso la nota ricetta, ed eccoci nell’Aula Magna per la solita assemblea plenaria ove avviene un fatto incredibile.
Accolta dai fischi e dagli applausi entusiastici  dei maschietti increduli che l’austero Preside avesse deciso di  offrir loro uno spettacolo così audace, ecco apparire sul palco una bella ragazzina con indosso una gonnellina ascellare ed una maglietta con una scollatura che le arriva all’ombelico.                
Ristabilita la calma, la fanciulla prende a raccontare  la sua terribile avventura, l’aggressione subita da uno stupratore, la bestialità dell’uomo , i momenti di terrore vissuti ed il ricordo  che le aveva  fatto perdere il sonno e l’appetito:  riconoscendo però  che un po’ di colpa  era anche sua, perché si era resa conto che vestendosi  in un certo modo,   si risvegliano i più bassi istinti degli uomini che a quel punto combinano quello che era toccato a lei.
Quindi concluse,  rivolta alle alunne , che non c’è bisogno  di  vestirsi  come  monache,  ma neppure è il caso di sbattere le loro cose carine in faccia agli uomini e poi lamentarsi  quando quelli vanno fuori di testa.
Anche quella volta la lezione servì, perché da allora le alunne del “Fermo” si coprirono maggiormente ed in tal modo  fattacci del genere di quello toccato  alla loro imprudente compagna non ne capitarono più.
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Inutile dire che il paralitico in carrozzella e la fanciulla aggredita dal  bruto erano una stessa persona, e precisamente il  giovane  Totò Salvalommo che, dietro suggerimento del prof.Lacognata, aveva messo a frutto le sue innate capacità di trasformista, e che, in caso di bisogno veniva da lui  convocato,  guadagnandosi  in tal modo un congruo  onorario.
Ma i colleghi del Preside del “Fermo”, ammirati per i successi pedagogici da lui ottenuti, vollero  sapere come c’era riuscito, ed egli, con la massima riservatezza,  svelò  il suo segreto cosicchè, da allora,  il  Totò Salvalommo  venne sommerso dalle   richieste di Presidi di ogni parte d’Italia che chiedevano il suo intervento pedagogico.
Munito di  ricca Mercedes sulla quale aveva raccolto tutto l’armamentario necessario per le sue trasformazioni,  percorreva  la penisola da nord a sud, da est a ovest divenendo di volta in volta ex carcerato per raccomandare ai giovani il rispetto della proprietà;  prostituta per dimostrare la tristezza della vita da “escort”;  e poi  vittima del gioco d’azzardo , commerciante fallito per aver imbrogliato i clienti, marito finito in miseria per aver fatto le corna  alla moglie ed essersi dato  ai bagordi, e così via.
Ai Presidi cui, su loro richiesta, si presentava, esibiva, come riconoscimento, un biglietto da visita con la scritta “Testimonial  Pedagogo”.
Fece, in tal modo, un sacco di soldi, ma finì male.
Tradito dalle sue multiformi trasformazioni e dai troppi quattrini,   entrò in confusione non riuscendo  più a distinguere se quello che andava simulando era cosa da fare o da evitare.
Sposatosi, riempì di corna la moglie; pieno di soldi, s’imbarcò in  speculazioni sbagliate; poi  si diede al gioco d’azzardo,  finendo peggio;  per dimenticare cominciò  a bere finchè  una notte, ubriaco fradicio, finì con la sua Mercedes contro un platano e rimase secco sul colpo.
Ora, non so se ce ne siano altri: sono però portato a credere che, a tutt’oggi,   il fu Totò Salvalommo sia rimasto l’unico “Testimonial Pedagogo” mai esistito al  mondo.    Giovanni  Zannini
                                                                                                                 

PERCHE' TALVOLTA IL "MALE" VINCE SUL "BENE"


RACCONTO

Anche  fare il Padreterno, checché se ne dica,  è fatica: se crea pensieri e preoccupazioni  far andare avanti una grande industria, pensate come dev’esser difficile far funzionare bene quell’ enorme  azienda che è il mondo intero.
Così, anche Lui ha il diritto, ogni tanto,  di riposarsi  , come fece, ad esempio, come dicono  le Scritture  (……”il settimo giorno si riposò”…..) dopo la faticaccia della creazione del mondo: e, quando può, il  divertimento  preferito è quello di assistere ad una partita  purchè   ben giocata, perchè Lui s’intende anche di  calcio.
Ma anche in quella occasione,  una volta,  Gli  toccò scervellarsi per  risolvere un grosso problema.
La partita fra il  “Forza Legnanego ” e  l’ “Avanti  Montebasso” era stata  bella,  Lui si era proprio  divertito ed  a pochi minuti dalla fine il punteggio era  in perfetta parità, 2 a 2.
Ma un fallo in area compiuto da un difensore del  Legnanego  aveva indotto  l’arbitro, inflessibile,   a decretare un sacrosanto rigore contro di  lui.
L’allenatore del  Montebasso non ha dubbi: il miglior rigorista di cui dispone è  il Carletto Trepalle, terzino di spinta, e lo chiama.
Carletto si avanza pensoso, teso, pallidissimo, conscio della responsabilità affidatagli e, raggiunto il dischetto,  si inginocchia alzando le braccia al cielo: lo sguardo ,  intenso, scruta l’azzurro mentre le labbra compiono un leggero movimento  che gli specialisti del linguaggio labiale leggono come un’invocazione: “Signore, aiutami!”
Da parte sua il portiere   del Legnanego,   Gioachino Paratutto,  in piedi, eretto, immobile, freddo, al centro della porta, anch’esso con lo sguardo rivolto verso l’alto, compie per ben tre volte un vistoso  segno di croce ed alla fine lancia in cielo,  facendolo ben schioccare, il bacio regolamentare  colmo di   affetto  e di speranza.
E’ chiaro che ciascuno dei due chiede il Suo intervento, ma Lui  non sa che pesci pigliare.
Incarica allora i suoi servizi informazione di accertare con la massima celerità quale  sia quello  più meritevole , ed  il responso dei servizi  Gli  offre in un battibaleno un chiaro quadro della situazione  che non Lo toglie, però, dal suo imbarazzo.
 Il rigorista Carletto Trepalle, 20 anni,  è un fior di ragazzo di ottimi principi, praticante, fa  dottrina ai bambini della prima comunione,  è onesto, studioso, dedito al volontariato, raccoglie le elemosine in chiesa,  con le ragazze è cordiale, simpatico, allegro, ma fermi là.
Il portiere Gioachino Paratutto,  anni 29, buon lavoratore, è sposato, 5 figli, fedele alla moglie - alla quale non ha mai fatto neppure  mezzo corno -  canta nel coro della parrocchia, fa carità, prega molto ed osserva con scrupolo tutti i 10 comandamenti.
Insomma, due santi, ma quale preferire? S.Pietro, Suo consigliere di fiducia,  Gli propone un  piano che, approvato,  scatta immediatamente.
Improvvisamente,   il rigorista Carletto, sempre più emozionato,  cede alla tensione e si accascia, svenuto: viene portato fuori barellato ed allora  l’allenatore chiama a sostituirlo il centrocampista Giacomo Granpiede.
L’aspetto non promette niente di buono sul piano etico:  si fa avanti  saltellando in bello stile, borioso , con l’aria di dire :” Mò vi faccio vedere io!” ; i capelli gli pendono da ogni parte; ciancica sgangheratamente gomma americana; ostenta muscoli gonfiati e lancia, con i suoi occhi grigiastri, lampi carichi di libidine verso una biondona  che siede  in tribuna, da tempo oggetto della  sua  concupiscenza.
Una rapidissima indagine dei servizi conferma quanto è evidente a prima vista:  come centrocampista, mica male, ma , per il resto,  gran puttaniere, si sbronza,  bestemmiatore incallito,  ostile alla Trinità, voglia di lavorare nessuna,  e pure  qualche spinello.
 A questo punto,  Lui non ha più dubbi :  la partita verrà vinta dal “Legnanego”  per merito delle specchiate virtù del suo portiere Gioachino Paratutto.
Ma il perverso centrocampista  Giacomo Granpiede,  giunto, dopo breve rincorsa,  sulla sfera,  le dà una botta che avrebbe perforato la corazza di un carrarmato,  scagliandola sull’incrocio dei pali alla destra del casto  portiere Gioachino Paratutto che -  incredibile!, no! non è possibile!  -  contro ogni legittima attesa e nonostante un perfetto volo d’angelo non può evitare che il pallone si insacchi scuotendo  violentemente la rete della  sua porta .
Lo sdegno, lo sgomento e l’ira s’ impadroniscono  degli ultras  de l  ”Forza Legnanego” che cominciano a mugugnare e ad avanzare  seri dubbi sulla Giustizia Divina, con commenti  sui quali è meglio sorvolare.
Ma com’era potuto accadere un fatto così grave? Quel Giacomo Granpiede,  peccatore incallito,  uomo dissoluto, che ha la meglio su quel sant’uomo di Gioachino Paratutto? 
Ecco cos’era successo.
Nello stesso momento in cui il Granpiede  aveva preso la rincorsa per calciare,  Lui era stato richiesto di intervenire   per sedare una grave rivoluzione scoppiata in Guatemala  dove si erano messi  a spararsi dietro con morti e feriti, e perciò si era spostato nella sala comando emergenze.  
Ma quando poi, dopo aver sistemato  il Guatemala,  Lui era tornato  in sala TV e si era reso conto di quello che, in sua assenza, era successo,  si era arrabbiato, e come: perché è vero che, come sta scritto, è “lento all’ira”,  ma quando Gli scappa la pazienza, son dolori.               
“Insomma – era sbottato –,  possibile che debba pensare a tutto io? Non potevate, che so ,  far ingamberare quel farabutto  del  Granpiede, fargli venire un giramento di testa,  un  improvviso disturbo intestinale, un crampo maligno o qualche altro accidente,  in modo da evitare questo scandalo?”.
Diversi  consiglieri e  assistenti, dopo quella lavata di capo,  con le orecchie basse, ci rimisero il posto, ma ormai l’arbitro  aveva segnato sul suo tacquino l’esito del rigore,  il tempo era scaduto, e così non ci fu più nulla da fare.
Fu così che  il “Forza Legnanego ”,  la squadra dell’angelico portiere Gioachino Paratutto  aveva perso contro l’ “Avanti Montebasso” del malefico centrocampista Giacomo Granpiede: e, quella volta, purtroppo,  il Male aveva prevalso sul Bene.
Certo, la gente certe cose non le sa, e brontola.
Ma quando succedono, non è per colpa Sua, è che è troppo occupato, ha troppe cosa per la testa da mettere a posto, tutti  Lo tirano per la giacca, pretendono grazie e miracoli: e allora Lui, qualche volta,  si distrae o si dimentica , e il Diavolo, quel maledetto,  sempre in agguato, ne approfitta, e ci mette la coda.                                                                                            Giovanni  Zannini
                                          

domenica 28 ottobre 2012

L'uomo e la BESTIA



RACCONTO

“No, uomo, non mi avrai, non mi avrai..., non... mi avrai..., non...mi...avrai...”.
Il capriolo si trascinava penosamente , con il cuore che scoppiava, cadendo, rialzandosi, sbatacchiando a destra ed a manca contro i tronchi ed i bassi rami della boscaglia tante volte percorsa agile e scattante, pieno di quella vita che il piombo gli andava rubando; che toglieva, lentamente, la luce dai suoi occhi; che faceva colare a terra, dallo squarcio sul collo, il suo giovane sangue.
No, il suo corpo non sarebbe finito su mense traboccanti di vini, fra cantori ebbri e volgari; la sua gola non avrebbe sentito il freddo della lama che gli toglieva quel resto di vita che gli era rimasta addosso; il suo bel capo non avrebbe ornato la casa di chi non di fiori, di quadri o di specchi ama abbellirla, ma dei crani delle sue prede; ed il carnefice non avrebbe ostentato, a guisa di trofeo, il sangue della vittima schizzato sul fustagno della sua casacca.
E passo dopo passo, vincendo il dolore lancinante e la tentazione di arrendersi , di buttarsi a terra e di non pensare più a nulla in attesa del colpo di grazia, la meta si avvicinava: ancora pochi metri e ce l’avrebbe fatta.
Giunto sul ciglio della “Busa fonda” si fermò un attimo reggendosi, con uno sforzo supremo, sulle quattro zampe, a respirare, avidamente, per l’ultima volta l’aria pura dei suoi monti: poi si lasciò andare librandosi per un attimo, assaporando l’ebbrezza del volo, prima di toccare il fondo dell’abisso.
   
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“Ti fermerai, brutta bestia, non puoi farcela ancora per molto” pensava l’uomo mentre arrancava, sbuffando, sulla montagna, seguendo le tracce di sangue del capriolo che si facevano sempre più larghe.
Quella volta non gli era sfuggito: dopo essere stato più volte beffato dall’animale che pareva farsi gioco di lui, l’aveva infine sorpreso nell’attimo in cui, forse per eccesso di sicurezza (o per sfida?) aveva lasciato il bosco percorrendo un breve tratto di radura, allo scoperto: e ciò era bastato perché il vecchio cacciatore andasse a segno, ma non tanto da farlo stramazzare.
Così, l’inseguimento fra l’animale ferito e l’uomo era iniziato: e quando, fattosi più rado il bosco la vide sul ciglio del precipizio, il cacciatore, stremato e ansimante, non ce la fece a puntarla, per finirla, che già la bestia era scomparsa.
“Maledizione” pensò l’inseguitore “e mò chi lo piglia?”.
Il burrone che tagliava in due la montagna era stato formato dal torrente che ora scorreva sul fondo: nei secoli, la costanza dell’ acqua aveva avuto la meglio sulla roccia, e le due pareti si elevavano ora, alte e ripide, per un centinaio di metri.
L’uomo si affacciò sul baratro  e vide, là sotto, l’animale privo di vita.
“Bella bestia” pensò, “venti chili di carne tenera, peccato perderla”.
Così, decise che avrebbe percorso il ripido sentiero scavato nella parete e, arrivato in fondo, caricata la preda sulle spalle, avrebbe seguito il corso del torrente fino alla strada e poco dopo sarebbe arrivato a casa.
Iniziò la discesa ma, giunto nel punto ove il sentiero era più ripido uno spuntone di roccia al quale si era aggrappato cedette, e fu un gran volo.
Ebbe la sensazione che non fosse lui ad avvicinarsi velocemente a terra,  ma che fosse questa ad elevarsi, repentinamente, fino a lui: e giacque, con il cranio spaccato, a pochi metri dal capriolo.
Non morì subito: ebbe il tempo di guardarlo e di pensare che, alla fine, a farci una bella figura era proprio quella bestia nobile e fiera anche nella morte, il cui sangue, colato dalla ferita, lo rendeva simile ad un eroe caduto in battaglia.
Lui, invece, si trovava lì con mezzo cervello fuori, le gambe disarticolate scompostamente e le braccia distese come  un Cristo in croce.
Pensò che quello aveva fatto una bella morte mentre di lui si sarebbe ricordato che era stato tratto in inganno da una pietra traditrice: e qualcuno, chissà, avrebbe pure detto che ci poteva stare più attento.
E tirando l’ultimo respiro, si rese conto di invidiarla, quella Bestia morta per salvare la sua dignità, mentre lui ci aveva lasciato ingloriosamente la pelle per venti chili di carne tenera.                                         Giovanni Zannini


martedì 16 ottobre 2012

UN SUGGERIMENTO AI GOLIARDI PADOVANI


Diciamo la verità, oramai comincia a stufare. Cosa? Ma quell’inno goliardico che invade la città per festeggiare gli studenti che hanno superato l’esame di laurea e che possono quindi fregiarsi del faticato “dott”.
Non tanto per quella che un tempo era una parolaccia, e che è il filo conduttore dell’inno. Ormai  quel particolare anatomico campeggia oggi sulla stampa, viene  esaltato in televisione, echeggia dalle trasmissioni radiofoniche, trionfa nell’arte, e promana ormai disinvoltamente  dalle bocche di politici, artisti, giornalisti, insegnanti, uomini e donne,  comprese le  boccucce di fanciulle disinibite e liberali. 
Qui non si auspica una  moralità da puritani o da vecchi bacchettoni, ma  un po’ di  novità, d’inventiva e di fantasia, questo si. E allora: non si fa oggi un gran parlare di mutamento,  di riformare, d’ innovare? E dunque su,  coraggio, ragazzi,  fate appello alla freschezza del vostro cervello, magari fate un concorso per creare“testi” nuovi,  intelligenti e scanzonati , cantabili  dai genitori, dagli zii e, per chi ha la fortuna di averli,  anche dai nonni che oggi assistono invece in disparte, piuttosto perplessi  ed evidentemente  sorpresi, con i sorrisi tirati di chi non sa che faccia fare, ai ripetuti, monotoni cori di figli e nipoti, maschi o femmine che siano.
Intendiamoci, l’aria va bene  ed invita al  canto anche chi ha  poca voce o è, addirittura, stonato: ma al testo una ripassatina ci vorrebbe proprio o, quanto meno, sarebbe auspicabile  una gamma di ritornelli arguti  e spiritosi da alternare con  quello  - stantio e francamente   noioso - tuttora in corso.
Un esempio? Uno studente ha proposto un :“ Dotore, dotore, s’è l’ora de ndar lavorar, per magnar, per magnar!”
Un altro, uno stentoreo “Dotore, dotore,  de ombre te devi imbriagar, col pital, col pital!”.
Certo, non sono   capolavori,  ma per dare inizio ad una nuova era per dimostrare che i  goliardi padovani, anche in materia di   canzonette ,  ci sanno fare,  pensiamo che, tanto per cominciare,  potrebbero  anche andar bene. 
                                                                                      Giovanni  Zannini

"APPARIZIONI" O "VISIONI"?

E' un errore definire "Apparizioni" quelle che in effetti sono "Visioni", ossia le affermazioni di quanti sostengono di "vedere" prodigiosamente figure religiosamente importanti  e  in particolare, fra i cattolici, la Madonna, la Madre di Gesù.
E dunque,  Lourdes,  Fatima e, per venire ai nostri giorni,  Medjugorie,  non sono luoghi  in cui si sia verificata una vera "apparizione"della Madonna attestata da testimoni e da prove inconfutabili: ma quelli in cui  alcune persone  hanno affermato e tuttora affermano di vedere la Madonna e di ascoltarne la parola.  
Oltretutto,  persone spesso in giovanissima età, che dovrebbero essere dotate di capacità mnemoniche eccezionali, in grado di ricordare  punto per punto le parole ed i messaggi,  spesso lunghi e talora complessi, che essi affermano di aver udito dalla voce stessa della Madonna.
E pare francamente strano che chi si permette di avanzare dubbi sulla loro credibilità sia tacciato di miscredente o di carenza di Fede.
Perchè, anzi, costoro dimostrano di  credere nella religione cattolica anche senza sentire il bisogno di toccare con mano fatti prodigiosi e soprannaturali che ne confermino la verità e la santità.
E' naturale che  le affermazioni dei  cosiddetti "veggenti" siano facilmente recepiti dalla cosiddetta religiosità popolare,  ma crea qualche perplessità il fatto che esse trovino qualche accoglienza anche in ambienti cattolici maggiormente acculturati.
In grado di chiedersi, ad esempio, se siano credibili gli appuntamenti ed i successivi colloqui con la Santa Madre di Dio affermati dai "veggenti" di Medjugorie, così calendarizzati: Vicka Ivankovic Mijatovic, Marija Pavlovic Lunetti e Ivan Dragicevich, apparizioni quotidiane; Ivanka Ivankovic Elez, una volta l'anno, il 24 giugno; Mirjana Dragicevich Soldo, ogni secondo giorno del mese; Jakov Colo, una volta l'anno a Natale.
Se poi aggiungiamo che nel 1985 l'allora Cardinale Ratzinger, capo della Congregazione per la dottrina della Chiesa, proibì i pellegrinaggi ufficiali , lasciando libere solo le visite in forma privata (e, cionostante, nelle parrocchie si organizzano i pellegrinaggi) ; che lo stesso, divenuto Papa, ha ridotto allo stato laicale  frà Tomislav Vlasic, "leader" (diciamo così) dei sostenitori dei fenomeni di Medjugorie al quale sono state elevate accuse di divulgazione di dubbie dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disobbedienza ad ordini legittimamente impartiti,  ed addebiti "contra sextum"     (ossia contro il sesto comandamento) per cui è stato espulso dall'Ordine francescano e che, infine,  è attualmente al lavoro  una Commissione  internazionale d'inchiesta istituita presso la Congregazione per la dottrina della Chiesa presieduta dal Card. Ruini avente l'incarico di studiare la soprannaturalità o meno dei fenomeni, e di riferire alla Congregazione e poi al Papa che  adotterà le decisioni del caso, occorre allora chiedersi se da parte di certi ambienti cattolici non sia auspicabile una maggiore prudenza.
Certo, il compito della Congregazione della fede  è difficile ed estremamente delicato dovendo essa dare risposta ad un inquietante quesito: come la Chiesa debba comportarsi  di fronte  a fenomeni asseriti sovrannaturali che producono innegabili frutti   positivi dal punto di vista spirituale  (preghiera intensa,  conversioni innumerevoli,  diffusione del cattolicesimo  grazie all'afflusso di pellegrini di ogni nazionalità) qualora venga accertata  l'inesistenza dei fenomeni stessi.
Ecco perchè l'attesa di conoscere come la Chiesa, nella sua saggezza,  saprà risolvere il difficile problema, sale.                              
                                                                                      Giovanni Zannini







giovedì 11 ottobre 2012

Assolta l'ambulanza - MUSSOLINI PRIGIONIERO ANOMALO


Si ritiene normalmente  che Mussolini, dopo la drammatica seduta del 25 luglio 1943 e le dimissioni, il successivo giorno 26,  nelle mani del re,  sia stato prigioniero, nel senso comune della parola,  del nuovo governo Badoglio e sottoposto a regime carcerario: ma, stando a quanto scritto dallo stesso Mussolini nelle sue memorie, non fu affatto così.
Quanto avvenuto dall’ottobre 1942 al settembre 1943 è infatti rievocato  in una serie di articoli apparsi sul Corriere della Sera in 19 puntate non consecutive dal n.151 del 24 giugno 1944 al n.171  del 18 luglio dello stesso anno, nei  quali   un autore anonimo racconta le vicende storiche di quel periodo e quanto  accaduto in tal periodo all’ex duce. Solo nell’ultima puntata si rivela  che autore ne è lo stesso Mussolini, e la serie di articoli viene raccolta in un opuscolo intitolato “Il tempo del bastone e della carota” pubblicato il 9 agosto 1944 come supplemento al n.190 del Corriere.  
 Da esso risulta che il passaggio dal governo Mussolini al Governo Badoglio realizzato dal re in base ai poteri derivantigli  dallo Statuto  - che sopravvisse durante tutto il ventennio - avvenne in maniera corretta dal punto di vista costituzionale.
Nessun arresto, dunque: la famosa ambulanza sulla quale egli venne caricato all’uscita dal colloquio con il re,  fin qui considerata dai più simbolo di tradimento e di inganno, viene invece, per così  dire,  assolta dallo stesso ex duce, che la considera  una “attenzione”del re per proteggerlo da una reazione  popolare che avrebbe potuto porre in pericolo la sua vita.
E nessuna protesta   da parte di Mussolini: anzi!. 
I messaggi, più sotto riportati,   fra l’ex Presidente del Consiglio Mussolini dopo la sua destituzione, ed il nuovo Presidente del Consiglio Badoglio furono  corretti per non dire cerimoniosi: addirittura, l’ex duce ringrazia Badoglio  per  le attenzioni ricevute,  lo assicura che non gli creerà alcuna difficoltà,  gli offre la sua collaborazione e conferma  la sua fedeltà al re.
Infatti l’ex duce nel libro citato  racconta  che il 26 luglio, alle ore una (ma avrebbe dovuto scrivere “27 luglio alle ore una” – ndr) mentre si trovava nella caserma della Scuola  allievi carabinieri di Roma nella quale era stato scaricato dalla nota  ambulanza, ricevette da Badoglio un messaggio indirizzato “al Cavaliere Sig. Benito Mussolini” del seguente tenore: ”Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini. Il sottoscritto Capo del Governo tiene a far sapere a V.E. che quanto è stato eseguito nei  Vostri riguardi è unicamente dovuto al Vostro personale interesse essendo giunte da più parti  precise segnalazioni di un serio  complotto contro la Vostra Persona. Spiacente di questo, tende a farVi sapere che è pronto a dare ordini   per il Vs. sicuro accompagnamento, con i dovuti riguardi, nella località che vorrete indicare. Il Capo del Governo : Maresciallo d’Italia Badoglio”.       
Ed ecco la risposta : “26 luglio 1943 – ore una (ma vedasi la nota più sopra). 1° - desidero ringraziare il Maresciallo d’Italia  Badoglio per le attenzioni  che ha voluto riservare alla mia persona.  2° - Unica residenza di cui posso disporre è la Rocca delle Caminate dove sono disposto a trasferirmi in qualsiasi momento. 3°  -  Desidero assicurare il Maresciallo Badoglio  anche in ricordo del lavoro in comune svolto  in altri tempi che da parte mia non solo non gli verranno create difficoltà di sorta, ma sarà data ogni possibile collaborazione. 4° - Sono contento della decisione presa di continuare la guerra con gli alleati così come l’onore e gli interessi della patria in questo momento esigono e faccio voti che il successo coroni il grave compito al quale  il Maresciallo Badoglio si accinge in nome e per conto di S.M. il Re del quale durante 21 anni  sono stato leale servitore e tale rimango. Viva l’Italia!”.
Certo stupisce che Mussolini   dichiari di essere disposto a collaborare con Badoglio, perché analoga offerta  di collaborazione rilasciata da Achille Starace allo stesso  Badoglio fu poi giudicata dai repubblichini della  Repubblica Sociale Italiana così grave, da metterlo al bando del nuovo regime facendolo decadere da ogni onore,  e  riducendolo in miseria fino a che venne poi   fucilato dai partigiani a Piazzale Loreto il 29 aprile 1943 sotto i cadaveri appesi di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi.

Ma torniamo ai successivi trasferimenti per mare che Mussolini non considerò  inizialmente  la traduzione di un detenuto, sibbene  precauzioni   atte a salvaguardare la sua incolumità personale. Fu lui stesso, infatti, a  coniare la  singolare definizione dello  stato giuridico in cui si trovava:” Ex capo del governo in stato di arresto protettivo contro la furia popolare”.
Sta di fatto che  dopo aver lasciato la caserma degli allievi carabinieri, invece che alla Rocca delle Caminate come da lui desiderato, evidentemente ritenuta  non sufficientemente sicura, l’ex duce fu  imbarcato a Gaeta sulla corvetta “Persefone” con la quale l’ammiraglio Maugeri,  privo di ordini sul da farsi, vagolò per mezzo mar Tirreno in cerca di un luogo sicuro ove custodirlo.           
Ventotene, Ponza, La Maddalena furono le tappe del pellegrinaggio prima di arrivare alla meta che alla fine i suoi custodi avevano individuato: il Gran Sasso d’Italia evidentemente ritenuto inattaccabile e di massima sicurezza.
Durante tali spostamenti fu consentito a Mussolini di mantenere contatti non solo con la moglie  Rachele che gli fece pervenire un pacco di indumenti e qualche libro, ma anche con personalità civili e militari, non solo italiane, ma anche tedesche che da (tuttora) alleati gli  manifestarono la loro solidarietà.
A Ponza, ove Mussolini il giorno 29 luglio 1943  aveva compiuto 60 anni, gli fu consegnato il seguente telegramma di Hermann Goering: “ Duce, mia moglie ed io vi mandiamo in questo giorno i nostri più fervidi auguri.
Se le circostanze mi hanno impedito di venire a Roma come mi proponevo per offrirvi insieme coi miei voti augurali un busto di Federico il Grande, più cordiali ancora sono i sentimenti della mia piena solidarietà e fraterna amicizia che vi esprimo in questo giorno. La vostra opera di uomo di Stato rimane nella storia dei nostri due popoli i quali sono destinati a marciare verso un comune destino. Desidero dirvi che i nostri pensieri  vi seguono costantemente. Voglio ringraziarvi per l’ospitalità gentile che mi offriste altra volta e mi  proclamo ancora una volta, con incrollabile fede, Vostro Goering.”.
Nella medesima occasione   gli fu fatto pervenire “il dono del Fuhrer, una mirabile  edizione completa delle opere di Nietzsche in 24 volumi con una dedica autografa. Una vera meraviglia dell’editoria tedesca.  Il dono era accompagnato  da una lettera del Maresciallo Kesselring che diceva:”Duce, per incarico del Fuhrer vi rimetto, mediante la benevola intercessione  di S.E.  il Maresciallo d’Italia Badoglio,  il regalo del Fuhrer per il Vostro compleanno. Il Fuhrer si stimerà felice se questa grande opera della letteratura tedesca vi recherà, Duce, un po’ di gioia e se voi vorrete considerarla come espressione del personale attaccamento del Fuhrer. Aggiungo i miei personali ossequi. Feldmaresciallo Kesserling. Quartier generale  7 agosto 1943”.
Ma a  Ponza  si verificò pure una singolare coincidenza: la contemporanea presenza di  Benito Mussolini in stato di “arresto protettivo” , e di Pietro Nenni, antifascista “confinato” nell’isola proprio dal primo allorchè era al potere.  In proposito, Paolo Franchi  nel suo articolo “” “Avanti”, un secolo fra Mussolini e Nenni ”” sul Corriere della Sera del 28-9-2012, riporta il dubbio di Nenni che il suo invio al  “confino” sia stato voluto  proprio dall’ex  duce – e questo gli fa onore - per salvargli   la vita, sottraendolo alla Gestapo che avrebbe voluto ucciderlo, memore  che i due, repubblicano l’uno, socialista rivoluzionario l’altro, avevano nel 1911 condiviso la galera.
Non vi fu incontro fra i due, ma Franchi ritiene che Nenni abbia visto con il binocolo il vecchio compagno - che come lui  era stato  direttore dell’ ”Avanti” -  divenuto  poi  duce del fascismo. 

Intanto la situazione era precipitata: il mattino del 9 settembre 1944 il re aveva lasciato Roma con il suo seguito per raggiungere Brindisi, in Puglia, in quel momento territorio italiano libero sia da alleati che da tedeschi, ed aveva in tal modo assicurato  la continuità   dello Stato italiano.
Ma pur riconoscendo che non di “fuga” si sia trattato, occorre però riconoscere  che l’allontanamento del re da Roma avvenne in maniera disordinata e avventuristica, senza un piano preciso che avrebbe dovuto essere accuratamente  preparato in tempo  cosicchè la confusione fu massima ed il collasso delle strutture civili e militari  inevitabile.
Fra i tanti errori e le tante omissioni commesse dalla Corona e dal suo governo in quella drammatica circostanza,  l’essersi  “dimenticati” di Mussolini che,  in base alle clausole dell’armistizio, doveva essere consegnato agli Alleati, appare, come sottolineato anche dallo storico inglese Denis Mack Smith, grave ed imperdonabile.  Anche se  non  sarebbe stato semplice trascinarsi dietro Mussolini nel drammatico trasferimento:  ma anche quel problema, assieme ai molti altri gravi e difficili di fronte ai quali si trovarono il re e Badoglio,   avrebbe dovuto essere  previsto, affrontato  ed adeguatamente risolto.
Certo, la situazione venutasi a creare tra Italia e Germania,  tuttora alleati,  fu paradossale.
Da una parte l’una, con il pretesto di  proteggerlo, non si voleva far scappare Mussolini anche se non si comprende cosa ne volesse fare.  Forse  giudicarlo,  non si sa dove e quando o, più probabilmente, per poterlo  consegnare agli Alleati che prevedibilmente l’avrebbero preteso, come poi avvenne  nella  realtà con l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Dall’altra i nazisti a caccia  di Mussolini per liberare un  alleato fedele, amico personale di Hitler, ma soprattutto, si ritiene, per poterlo utilizzare nel modo migliore nel loro interesse  in vista di quanto sarebbe poi accaduto, e che accadde (l’armistizio), le cui trattative erano certamente note  ai servizi segreti nazisti.
Insomma, due alleati  che si contendono la stessa preda per scopi diametralmente opposti.
Sta di fatto che nei giorni 9,10, 11 e metà 12 settembre 1943 i custodi di Mussolini, depositari, senza ordini, di un così ingombrante fardello, si trovarono in un comprensibile, drammatico  imbarazzo dal quale,  fortunatamente per loro, li sollevò  un angelone piovuto dal cielo sulle cui ali campeggiava la svastica e  che aveva la grinta del colonnello delle SS Otto Skorzeni.
                                                                                                                                 Giovanni  Zannini