Don Pedro II d’Alcantara era stato incoronato Imperatore del Brasile il 18 luglio 1841, all’età di 15 anni, dopo aver accettato, per salvaguardare l’unità del Brasile in pericolo, una “dichiarazione di maggiore età prematura” che gli era stata proposta dalle più alte cariche dello stato proprio per consentirgli, una volta divenuto maggiorenne, di salire, senza ulteriori ritardi, sul trono imperiale.
Quando ne ebbe 18 la corte pensò che per completare ed ulteriormente migliorare la sua personalità fosse giunto il momento di dargli una moglie.
Sul trono di uno stato ricco ed immenso e, oltrettutto, molto bello – 1,90 di altezza, occhi azzurri, capelli biondi – le candidature di principesse fioccarono da ogni parte del mondo.
Prescelta fu Teresa Cristina di Borbone - sorella di Ferdinando II Re delle due Sicilie - il cui ritratto era piaciuto a don Pedro che annunciò subito il fidanzamento.
Fu allora inviata a Napoli una divisione navale brasiliana agli ordini del Contrammiraglio Teodoro di Beaurepaire che, imbarcata l’illustre ospite, la futura imperatrice del Brasile, prese la via del ritorno.
A farle da scorta, una piccola flotta borbonica composta dal vascello di linea “Vesuvio” al comando del barone De Rosa, dalla fregata “Amalia” sulla quale prese imbarco il tenente di vascello principe Luigi di Borbone, fratello della principessa, e altre due fregate, la “Partenope” e la “Regina Isabella”.
Il 1° luglio 1843 le navi napoletane, issato il gran gala e salutata con una salva di nove colpi di cannone la Madonna di Piedigrotta, lasciarono il porto di Napoli e procedettero di conserva con quelle brasiliane attraverso l’ Oceano Atlantico.
Al tramonto del 3 settembre, dopo 65 giorni di viaggio, le navi napoletane e brasiliane gettano le ancore nella baia di Rio de Janeiro accolte dalle salve di tutti i forti e delle navi da guerra in porto.
Ma terminato il tuono dei cannoni, l’imprevisto.
L’Imperatore che si avvicina alla banchina vede scendere dalla nave una giovane donna ben diversa da quella effigiata nel ritratto che gli era stato mostrato, ed in base al quale aveva dato il suo assenso al matrimonio.
L’ignoto ritrattista, infatti, generosamente, aveva attribuito alla principessa fattezze che non corrispondevano a quelle della donna che gli veniva incontro, piccola, un po’ sovrappeso, e, oltrettutto, con il “labbro all’Asburgo” – il labbro inferiore pronunciato - caratteristico delle sua casata.
L’imbarazzo dell’Imperatore è evidente e non fa nulla per nasconderlo.
Vi è chi dice che abbia fatto un rapido dietro-front, o che si sia accasciato su di un sedile.
La sera, in lacrime, sussurra a Mariana de Verna, sua confidente, che gli ha fatto da mamma dopo la morte della madre, e che lui continua a chiamare con il vezzeggiativo “Dadama” (come quando, da bambino, non riusciva a pronunciare la parola “Dama”): “Mi hanno imbrogliato”, ed occorrono molte ore per convincerlo che non è possibile tornare indietro e che si deve proseguire su quella strada.
Le nozze furono celebrate il 4 settembre 1843, all’indomani stesso del drammatico arrivo della sposa, e, nonostante le pessimistiche previsioni, grazie alla forza del carattere di don Pedro maturato nello studio costante ed approfondito, alla sua pazienza e, soprattutto, alla nascita, il 23 febbraio 1845, del primogenito Alfonso, i rapporti fra i coniugi si normalizzarono.
Seguirono, nel 1846, Isabella, Leopoldina nel 1847 e Pietro nel 1848: ma la morte di entrambi i figli maschi dopo soli due anni di vita unirono nello strazio i genitori.
Ed il dolore aleggiò anche sulla loro fine.
Nonostante i grandi meriti acquisiti da don Pedro II nel governo del Brasile (basti ricordare il divieto del commercio degli schiavi e, particolare interessante ai i giorni nostri, la drastica riduzione delle spese per la corte imperiale), a seguito di un colpo di stato del partito repubblicano egli venne detronizzato il 15 novembre 1889 e la coppia costretta all’esilio in Europa ove restò fino alla morte.
Ma, in considerazione dei grandi meriti a lui riconosciuti dagli stessi governi repubblicani, le salme della coppia imperiale furono nel 1920 riportate in patria e riposte con tutti gli onori nella cattedrale di Persepoli, la città fondata dallo stesso imperatore.
Nello stesso tipo, diremo così, d'infortunio, incappò, alla fine del millesettecento, anche George Augustus Frederick, 21° Principe di Galles, figlio maggiore di Giorgio III detto il Re Pazzo, destinato a succedergli come Giorgio IV.
Lo ricorda Antonio Caprarica che, come ex direttore della sede RAI di Londra, di cose inglesi, nel bene e nel male, se ne intende, nel suo "Il romanzo dei Windsor" (Sperling & Kupfer Editori 2013).
L'autore racconta che per il principe, dopo aver folleggiato per molti anni collezionando donne e debiti, venne il momento in cui il padre, in un momento di lucidità, gli impose di metter su casa per assicurare il futuro della dinastia e che, per vincere l'ostilità del figlio che non ne voleva sapere, l'augusto genitore lo ingolosì proponendogli, ove avesse obbedito al suo desiderio, di pagargli i debiti, ben 375.000 sterline dell'epoca, una cifra enorme. Di fronte a questa allettante proposta il giovane principe, ricco di bellezza e di eleganza, colto, abile nella scherma e nel tiro, esperto di bische e gran bevitore, ma assai scarso di virtù, si arrende ed accetta di convolare con una delle candidate prospettategli dal padre, la principessa Carolina di Brunswich - un "ducato da operetta" - figlia della sorella maggiore del re, quindi sua prima cugina.
Accettazione "al buio", altamente imprudente senza aver mai visto la nubenda se non sulla scorta di miniature assai sospette perchè si sa che i ritrattisti, per portarsi a casa l'onorario non esitano, occorrendo, a trasformare nasi distorti o prognatismi accentuati in deliziosi profili , esili toraci in seni procaci, e così via.
Tanto più imprudente, il Principe di Galles, perchè, se si può giustificare quello brasiliano il quale, per dare un'occhiata alla futura sposa, avrebbe dovuto attraversare l'Atlantico, per lui sarebbe bastato attraversare la Manica e poi raggiungere Brunswich, per rendersi conto "de visu" e non sulla sola scorta di ritratti, come abbiamo sopra detto, talora sospetti e menzogneri, delle sembianze della futura moglie.
Non senza notare che anche per la Caroline l'aspetto del futuro sposo fu una delusione: si accorse infatti che, complice il solito ritrattista infedele, il futuro marito "era molto grasso e per niente bello come nel suo ritratto".
Sta di fatto che il bel Giorgio, alla vigilia del matrimonio, si trova al cospetto di una promessa sposa,
scrive Caprarica, "decisamente poco graziosa e rozza..., rubizza, goffa, e che vestiva poco meglio di una contadina...garrula, esibizionista, ridanciana e chiacchierona, priva di bune maniere" e, addirittura, assai carente, per non dir di peggio, nell'igiene e cura della persona. Lo "shok" del principe a quella vista è significativamente attestato dalla frase che egli rivolge al barone di Malmesbury che lo accompagna:" Harris, vi prego, non mi sento bene. Datemi un bicchiere di brandy".
Il matrimonio, ciononostante, è celebrato ma, come era facile prevedere, con esito disastroso: al ripudio poi notificatole la sposa reagisce con un comportamento sconveniente mirante, oltre ad ottenerle personali soddisfazioni, a far sì, scrive Caprarica, "che la sua vergogna sociale potesse danneggiare anche l'odiato marito".
In conclusione, vi è da rallegrarsi che l'avvento della fotografia, assai più sicura di non sempre veritiere miniature, impedisca che inconvenienti del genere di quelli sopra ricordati abbiano a verificarsi anche ai giorni nostri.
Giovanni Zannini
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