Dissento da quanti sostengono che Vittorio Emanuele III di Savoia sia “fuggito” da Roma dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 (la presunta “Fuga di Ortona”, il porto ove egli si imbarcò sulla corvetta “Baionetta”) perché non di fuga si trattò, sibbene del trasferimento di colui che allora rappresentava l’Italia, e del governo da lui nominato, in una parte tuttora libera del territorio italiano (v.I.Montanelli – “Storia d’Italia”) perché in quel momento (e sia pure per poco), Brindisi non si trovava sotto il controllo degli Alleati né dei tedeschi.
Cosicchè la collaborazione fornita agli Alleati dal re e dal suo governo con truppe regolari italiane (talora spregiativamente definite “badogliani”) e con l’appoggio e l’assistenza ai gruppi di resistenti che nell’Italia , ed anche all’estero combatterono al loro fianco, valsero all’Italia la qualifica di “cobelligerante” e, alla fine, condizioni di pace che sarebbero state certamente più dure ove tale “cobelligeranza” non vi fosse stata.
Perché, se di “fuga” si vuol continuare a parlare, molte altre sarebbero le “fughe” da attribuire a quei regnanti che, nella seconda guerra mondiale, dopo la sconfitta dei loro eserciti abbandonarono il paese per costituire dall’estero (praticamente da Londra) quei governi in esilio che tennero alte le loro bandiere ed il diritto sovrano di continuare la lotta contro i tedeschi con tutti i mezzi possibili a loro disposizione.
In Norvegia, a seguito della sconfitta subita dopo due mesi di duri combattimenti contro i tedeschi che il 9 aprile 1940 l’avevano invasa, il re Haakon VII con tutta la famiglia ed il governo si rifugiarono in Gran Bretagna assieme alle truppe inglesi che, accorse invano in loro aiuto, si stavano ritirando.
Nell’Olanda che il 10 maggio 1940 tedeschi avevano invaso per prendere alle spalle la Francia, la Regina Guglielmina, dopo la capitolazione del suo esercito si rifugiò in Inghilterra con la famiglia e circa 5000 funzionari governativi e militari conservando il diritto sovrano di continuare la lotta contro i tedeschi.
Anche la granduchessa Carlotta del Lussemburgo per sfuggire ai tedeschi che erano dilagati nei paesi bassi riparò a Londra con la famiglia ed i membri del suo governo continuando in tal modo, dall’esilio, a rappresentare il Lussemburgo.
Il re Pietro II di Jugoslavia, a sua volta, per sfuggire ai tedeschi che avevano invaso il suo paese si rifugiò a Londra unendosi ai numerosi governi in esilio dell’Europa occupata.
Così pure il re Giorgio II di Grecia che, riparato con i membri del suo governo, dopo l’invasione tedesca, a Londra, vi costituì un governo in esilio internazionalmente riconosciuto.
Per non parlare di quanti, dal francese De Gaulle, al cecoslovacco Benes ed al polacco Sikorski con i loro governi in esilio continuarono a tener alte da Londra, durante la seconda guerra mondiale, le bandiere della Francia, della Cecoslovacchia e della Polonia.
Mentre, addirittura, si criticano, e giustamente, il re Cristiano X di Danimarca ed il re Leopoldo III del Belgio che, rimasti in patria per restare vicini al loro popolo dopo l’occupazione tedesca, l’avallarono però praticamente con la loro presenza esponendosi così all’accusa di collaborazionismo con il nemico.
E allora, perché parlare di “fuga” di Vittorio Emanuele III che, oltrettutto, non “fuggì” all’estero, ma, assicurando la continuità legale dello stato italiano trasferì i suoi poteri, il governo e la capitale d’Italia da Roma a Brindisi, ossia “in altro punto del sacro e libero suolo nazionale “(radio-proclama del re al popolo italiano da Brindisi il 10 settembre 1943) per cui non è neppure possibile definire “governo in esilio” quello presieduto da Badoglio?
Innegabili, sottolineate dalla storia, e condivisibili, le responsabilità addebitate a Vittorio Emanuele III di Savoia durante il ventennio fascista solo attenuate dal suo tardivo - e pure disorganizzato - intervento dopo il 25 luglio 1943: ma la cosiddetta “fuga di Ortona” è una colpa che non può essergli, onestamente, addebitata. Giovanni Zannini
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