venerdì 16 gennaio 2015

PAPA FRANCESCO E MATTEO RENZI: UN'ANSIA COMUNE

Non è chi non veda oggi, in Italia, la singolare esistenza  di due spiccate personalità  accomunate da uno stesso desiderio riformatore.
Papa Francesco impegnato a riportare la Chiesa alle sue origini liberandola da quelle sovrastrutture che l’hanno nel tempo appesantita frenando  il suo cammino nel mondo.
Che con il recente dibattito sulla famiglia  ha  fatto affrontare tematiche  mai prima di allora apertamente trattate che hanno evidenziato i diversi pareri di chi nella Chiesa sostiene  l’intangibilità della dottrina e chi, invece, impegnato nella pastorale, auspica una possibile apertura verso quelle problematiche (le nuove “res novae”) che oggi si manifestano nella società e che esigono una soluzione.
Che invoca insistentemente la pace prodigandosi egli stesso, come il recente fatto cubano dimostra, e denunciando fermamente quella “guerra  a rate”  attualmente, purtroppo,  in atto nel mondo.
E Matteo Renzi, un  giovane uomo che  con i suoi collaboratori, intende realizzare quelle riforme da tempo invocate e mai realizzate, affrontando di petto i problemi,  ponendo precise scadenze, senza temere comportamenti  che possano nuocere alla sua popolarità se ritiene che essi giovino all’Italia, che si assume le sue responsabilità senza addurre scuse, pronto a lasciare ove non riuscisse a raggiungere i suoi obbiettivi.
Un uomo  che intende arricchire la  classe dirigente  italiana con forze fresche dalle idee nuove, ed  anche proteso con decisione verso l’Europa  per  rilanciarne gli obbiettivi originari e farla avanzare verso un’unione che miri all’interesse comune anziché a quello delle singole nazioni.
Ma desta sorpresa che quanti  da tempo e con ragione criticavano lungaggini e lentezze burocratiche, i continui  rinvii, una classe dirigente invecchiata ed esaurita, e denunciavano la corruzione, la lentezza della politica condizionata dal bicameralismo, gli sprechi della Pubblica Amministrazione, il numero eccessivo di politici ed amministratori, i loro alti compensi, ed una legge elettorale foriera di ingovernabilità,   ora che tali problemi sono stati affrontati e la loro soluzione impostata, anziché compiacersi del nuovo corso ed appoggiarlo dandogli vigoria e slancio,  si perdono - anche all’interno dello stesso partito cui Renzi appartiene -  in critiche astiose e spesso infondate.
E allora? Matteo Renzi come Papa Francesco? Non diciamo sciocchezze: il confronto  fra l’altissima figura  di un  Pontefice capo della Chiesa e quella del Presidente del Consiglio di qualsivoglia stato non è possibile.
Ma  che Matteo Renzi riponga nella sua attività politica la stessa ansia, lo stesso ardore, lo stesso entusiasmo generoso che anima la missione di Papa  Francesco, va certamente a suo onore.
                           
 Padova 16-1-2015                                                                                        Giovanni  Zannini



AUTUNNO 1922 - L'ADDIO DELL'ITALIA ALLA "QUINTA SPONDA" IN ASIA

Autunno 1922
L’ADDIO DELL’ITALIA ALLA “QUINTA SPONDA” IN ASIA

Fra le condizioni  avanzate dall’Italia nel marzo 1915 alle potenze dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Russia) con un “memorandum” segreto con il quale venivano indicate le condizioni per entrare in guerra al loro fianco, vi era quella prevista dall’art.IX che tra l’altro recitava: ”In generale le parti si accordano nel riconoscere che l’Italia ha un interesse di equilibrio  nel Mediterraneo da tutelare onde IN CASO DI SPARTIZIONE IN TUTTO O IN PARTE  DELL’IMPERO OTTOMANO, l’Italia dovrà avervi la sua congrua parte…”.
Tale condizione era stata accettata, assieme a tutte le altre del “memorandum”,  dalle potenze dell’Intesa con il Patto (segreto anch’esso) di Londra del 26 aprile 1915 con il quale si affermava che “il memorandum presentato dall’Italia  è accettato dalle tre potenze dell’Intesa”.
Terminata la guerra il 4 novembre 1918, l’Italia, timorosa che anche questa (come molte altre) promesse fatte degli alleati della Triplice Intesa per convincerla ad intervenite nel conflitto al loro fianco, non venissero mantenute, decise una prova di forza facendo sbarcare il 9 MARZO 1919 nel sud ovest della Turchia, ad Adalia (la turca Antalya, nel golfo omonimo,e centro di un bacino carbonifero) un corpo di spedizione di circa 12.000 uomini che occupò anche le vicine   località di  Bodrum, Alanya, Konya, Kuch-Adassi, ed  Ismidt  spingendosi fin nel centro occidentale della Turchia ad Eskisehur 
L’iniziativa italiana ne provocò un’altra simile, un “contro-sbarco”, da parte della Grecia la quale, forse timorosa che l’ Italia volesse estendere la sua area d’influenza fino a Smirne, per assicurarsi quella parte della Turchia che avrebbe realizzato il suo sogno della “Megali  Idea” (la “Grande Grecia”),  operò il 15 MAGGIO 1919 lo sbarco a Smirne occupando le  località limitrofe di Manisa (l’antica Magnesia), Aydin, Ayalik, Kassaba  ed Edemieh da tempo rivendicate per l’asserita maggioranza  di popolazioni ortodosse di lingua greca da difendere dai turchi musulmani: ma la cosa è controversa.
In tal modo il territorio turco occupato dagli italiani  si trovò a confinare con quello occupato dalla Grecia, creando una delicata convivenza fra le due nazioni che venne chiarita dal Trattato di Sèvres del 10 agosto 1920 con il quale si ratificavano i colpi di mano della Grecia che otteneva Smirne  ed il territorio contiguo, e dell’Italia cui veniva riconosciuta ufficialmente una “zona di  penetrazione economica” nell’Anatolia sud-occidentale,  sulla riva del Mediterraneo, e centro-occidentale,  fino ad Eskisehur.  
Ma il Trattato non venne ratificato dalla Turchia - priva, in quel momento, di parlamento – che, anzi, sotto la guida del gen.Kemal Ataturk, diede inizio ad una lunga “guerra di liberazione” dall’invasore greco che  si protrasse dal 1919 al 1922.
Il lungo, sanguinoso conflitto che diede luogo a stragi da una parte e dall’altra dei contendenti (la più nota, quella degli Armeni ad opera dei turchi) vide un caotico  intreccio di interessi che portò a capovolgimenti di alleanze (la più clamorosa l’aiuto della Russia agli ex nemici turchi) e diede origine a contrasti i fra gli stessi alleati della Triplice Intesa che insieme avevano vittoriosamente combattuto: l’Inghilterra, ad esempio, appoggiò la Grecia,  mentre la Francia porse generoso aiuto ai turchi.
Da parte sua l’Italia, pur estranea al conflitto dal momento che inizialmente (ma poi le cose cambiarono) i turchi si erano limitati a combattere l’invasore greco, ma non quello italiano, non esitò a fornire, dalla sua base di Antalia aiuti  (informazioni militari,  addestramento truppe, armi) proprio all’ex nemico turco in guerra contro l’ex alleato greco. 
Ma nel frattempo l’Italia con la presidenza Nitti  aveva provveduto alla progressiva smobilitazione dell’esercito e ciò provocò una continua  riduzione  degli effettivi del corpo di spedizione italiano che andò sempre più sganciandosi dal conflitto in corso. Così,   anche timorosa che i turchi, dopo aver scacciato l’invasore greco, volessero fare altrettanto con quello italiano, essa, dopo essersi gradualmente ritirata nel corso del 1922 dalla Turchia centrale, alla fine dell’anno completò l’evacuazione abbandonando definitivamente Antalia e le altre località mediterranee circostanti.
Fu così che il Trattato di Losanna del 24 luglio 1923 che pose fine alla guerra greco-turca  superando il precedente Trattato di  Sèvres - non ratificato, come si è visto dalla Turchia – sancì il possesso, fino ad allora non riconosciuto internazionalmente, della Libia e del Dodecanneso all’Italia, ma non fece  alcuna menzione a quella  “zona di penetrazione economica” in Turchia che il Trattato di Sèvres le aveva assegnato.
Occorre però dire che ciò avvenne non per malafede degli ex alleati sibbene per rinuncia degli stessi  governanti italiani dell’epoca che avevano spontaneamente provveduto a ritirare il  corpo di spedizione italiano dall’Anatolia fin dal 1922, per cui tale omissione non può onestamente essere messa  nel conto (“la pace tradita”, “la vittoria mutilata”) delle violazioni del Patto di Parigi che tanto sdegno avevano provocato negli italiani.
E questo segnò  l’addio dell’Italia  all’audace progetto di aprirsi la strada verso  l’Asia:  la “quinta sponda”.

                                                                                                                                                   Giovanni Zannini