Quante
volte l’avevano desiderato?
Costretti
nella clandestinità della “garconnière” di Palazzo Venezia a
fianco della sala del Mappamondo,
gli
amanti si dovevano accontentare di rapidi incontri ai quali,
pazientemente, Clarice si assoggettava, fra un’udienza e l’altra
del duce, dopo che lui avesse firmato la posta in partenza o
esaminata quella in arrivo, o terminato lunghi colloqui telefonici
con i potenti di mezzo mondo.
Sempre
clandestinamente, perfino, riferisce Arrigo Petacco nel suo recente
“Eva e Claretta – Le amanti del diavolo” (Arnaldo Mondadori
Editore – 2012), in cerca di luoghi ove non dar nell'occhio,
durante l'effimera Repubblica di Salò, in cima alla torre del
Vittoriale, a Gardone, inebriati dall'aura del Vate.
Ma mai
una notte intera di passione, perchè “Mussolini ...aveva abitudini
borghesi: tradiva la moglie soltanto di giorno” e la moglie Rachele
confermava che “Ogni sera il mio uomo torna sempre nel suo letto”.
E
quante volte avranno sognato una vacanza spensierata, al riparo da
sguardi indiscreti, in una villa tutta loro sul mare o in una baita
delle Dolomiti ove coltivare un amore clandestino, sì, e
riprovevole, certo, ma che, riconosciamolo, è stata una passione
inestinguibile fino alla morte?
Strano
il destino di quell’ uomo potente, di non poter godere quel
piacere che arride ad altri assai meno potenti di lui, o,
addirittura, poveri e miserabili, ma liberi di manifestare il proprio
amore.
E come
lui avrà invidiato il duce tedesco che, invece, libero da legami,
poteva esibire, nel lusso della sua casa, l’ amata Eva ammirata,
rispettata e, dalle altre, invidiata!
Ecco,
il giorno è arrivato, soli , in una camera piccola ed intima, con
pochi mobili alla buona ed un gran letto invitante, con lenzuola
bianche pulite, odorose di lavanda: ma con due uomini col mitra in
pugno alla porta, in attesa delle decisioni del destino.
Il
sogno si è avverato, ma quanta tristezza , dopo una giornata di fuga
fra mille pericoli e paure, fra gente festante, indifferente al
loro dramma, ed ancora incredula che l’ odiata preda sia caduta in
trappola.
Ma,
fra tanto odio, un fatto che fa riemergere la memoria d' un mondo
d’altri tempi.
Mussolini
chiede ed ottiene dal monarchico partigiano conte Pier Bellini delle
Stelle, il capo degli uomini che l’hanno catturato, di essere
riunito all’ amante e il vincitore, che avrebbe potuto infierire
sull’avversario ormai in suo potere, negandogli anche il conforto
di avere accanto la donna amata, vi acconsente.
Un
gesto di cavalleria ove i nitriti dei quadrupedi e l’irrompere dei
loro zoccoli sono sopravvissuti allo sferragliare dei cingoli dei
“panzer” ed al tuono delle bocche da fuoco.
E
allora anche gli avversari - il politico, il moralista, lo psicologo,
lo scrittore, il polemista - si ritirano dinanzi al dramma umano
consumatosi in quella stanza che nessuno al mondo conoscerà mai, e
lasciano il passo all’immaginazione ed alla fantasia.
Vi fu,
lì, amore, oppure la paura, l’ansia, il terrore del futuro avranno
prevalso sulla passione, annientandola?
E che
si saranno detti gli amanti: parole di conforto e di speranza,
fiducia in possibili eventi imprevisti capaci di ribaltare il
drammatico presente, il ricordo di momenti difficili superati, e la
speranza che ancora una volta ciò sarebbe avvenuto, oppure la
consapevolezza del baratro in cui sono precipitati e la nera
incognita del futuro che li attende?
Forse
- è imperscrutabile l'animo umano - una preghiera, un pensiero
sull’aldilà che potrebbe incombere, e sulla suprema resa dei
conti?
La
storiografia di quel drammatico episodio, depurata da ipotesi,
supposizioni, testimonianze che si accavallano e si contraddicono,
parla dell’arrivo della coppia nella modesta casa di Giovanni De
Maria - persona di fiducia di Pier Luigi Bellini delle Stelle,
“Pedro”, comandante della 52° Brigata Garibaldi che ha catturato
Mussolini a Dongo – nelle prime ore, verso le tre, del 28 aprile
1945 dopo una serie convulsa di spostamenti.
Da
Dongo, luogo della cattura in preda alla confusione ed al caos, alla
caserma della Guardia di Finanza di Germasino considerata più
sicura per la sorveglianza dei prigionieri. Da lì, una puntata a
Moltrasio nel tentativo di traghettare i due amanti a Blevio,
dall’altra parte del lago, nella villa dell’industriale Remo
Cademartori - che confermò il piano di salvataggio - per sottrarli
alla caccia del col.Valerio e della sua squadra avidi del loro
sangue, in attesa di consegnarli alla legittima autorità del CVL –
Corpo Volontari della Libertà. Infine, fallito il tentativo, il
rientro, a notte fonda, non più a Germasino, ma in un rifugio
considerato ancor più sicuro e segreto, nella casa De Maria a
Bonzanigo di Mezzegra.
Quindi,
la permanenza di Mussolini e della Petacci in quella camera fu
pressapoco di una dozzina di ore , dalle tre del 28 aprile alle
16/16,30 dello stesso giorno allorchè, avendo individuato la loro
residenza, il col. Valerio irrompe, li preleva e li conduce sul
luogo dell’esecuzione, poco lontano, dinanzi al cancello della
villa Belmonte.
Ma le
cose potrebbero essere andate diversamente ove avesse fondamento
l’ipotesi, più truce, avanzata dal giornalista ed ex deputato
missino Giorgio Pisanò secondo il quale Mussolini e la Petacci
furono uccisi in casa De Maria durante una colluttazione fra l’ex
duce e chi voleva recare violenza alla sua amante.
Cosicchè
al col. Valerio, sopraggiunto, non restò che far trasportare
Mussolini e la Petacci, già uccisi, davanti a villa Belmonte ed
inscenare la fucilazione dei due cadaveri.
E’
la teoria della doppia uccisione sulla quale si sono già versati
fiumi d’inchiostro, che arricchisce e ancor più intorbida questo
drammatico episodio della storia italiana.
Giovanni
Zannini
Nota:
Il nome dell'amante di Mussolini, detta Claretta, era, in realtà,
Clarice, voluto dalla madre signora Giuseppina Persichetti in
Petacci, pia terziaria Francescana delle Clarisse .